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mercoledì 25 novembre 2015

Educare i bambini ad essere sportivi

EDUCARE I BAMBINI AD ESSERE "SPORTIVI"

Lo sport è una componente essenziale per lo sviluppo psicofisico dei bambini, ma è anche importante aiutarli ad approcciare lo sport e l’agonismo in modo sano.
Come fare?
Innanzitutto vanno abituati sin da piccoli a fare attività sportiva. In questo modo cresceranno considerando lo sport come un’attività imprescindibile della loro vita e crescendo non sapranno più farne a meno!
La dimensione ludica soprattutto nelle prime fasi è indispensabile.
Per i bambini lo sport deve essere soprattutto gioco e divertimento, quindi niente costrizioni e non bisogna riversare sui figli le proprie aspettative deluse. Ogni individuo ha propri talenti e proprie abilità e bisogna aiutare i bambini a scoprire quali sono i loro. Inutile e controproducente costringere un bambino ad andare in piscina perché da giovani si è accarezzato il sogno di diventare nuotatore: è invece importante assecondare i bambini nelle loro attitudini e nei loro desideri, ricordano anche a se stessi che fare sport significa prendersi cura della propria salute, del proprio benessere e soprattutto ci si deve divertire.
No alla competizione sfrenata.
L’agonismo è una componente importante dello sport, soprattutto dopo gli otto anni, ma non bisogna caricare i bambini di aspettative, incitarli in modo ossessivo alla vittoria. Non c’è dubbio che la componente competitiva dello sport proviene dagli adulti e dai genitori: per i bambini giocare una partita di calcetto è soprattutto un momento di svago e di puro divertimento.
Un tempo lo sport non era organizzato, ma si caratterizzava soprattutto come gioco libero, nel quale i bambini potevano organizzarsi autonomamente con regole e tempi. Oggi, invece, le società sportive offrono competenze e sicurezza che prima non esistevano, ma è importante che la componente agonistica non superi di gran lunga quella ludica.
Un genitore eccessivamente tifoso può danneggiare l’autostima del bambino ed essere anche un pessimo esempio. 
Chi di noi non è stato spettatore di una partita di calcetto alla quale assistevano genitori accaniti, che se la prendevano con arbitro e allenatore?
Un simile atteggiamento mina la fiducia del bambino, lo carica di frustrazione che alla fine diventa rabbia, mentre il più autentico spirito dello sport viene totalmente dimenticato.
Lo sport, invece, deve permette ai bambini di capire che nella vita spesso si perde, anche se ci si è impegnati al massimo delle proprie possibilità e i genitori hanno il compito di consolarli e aiutarli a metabolizzare la sconfitta. Un insegnamento utile, che si rivelerà utile in tanti aspetti della vita.
Inoltre i bambini di oggi sono già super-impegnati con la scuola a tempo pieno, i compiti e altre attività extrascolastiche e in tal senso un impegno sportivo eccessivo può minarne l’equilibrio, oltre che sovraccaricare il fisico.

Fonte: www.paginemamma.it
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mercoledì 18 novembre 2015

Scambio di foto e nudi in classe

SCAMBIO DI FOTO E NUDI IN CLASSE
Cosa dire ai propri figli

1. Cos’è il sexting? Per sexting si intende spedire, ricevere, condividere testi, immagini o video che riguardano la sfera sessuale e che possono essere diffusi con il telefonino, i tablet, attraverso i social network, i siti, i blog, via sms, mms, bluetooth, con email, chat… Chiunque abbia a che fare con l’argomento (dalla polizia postale alle associazioni che seguono i fenomeni legati a Internet) sa che nel nostro Paese il sexting ha messo radici nella terra dell’adolescenza, soprattutto fra i 13 e i 17 anni, anche se la questione è tutt’altro che sconosciuta agli adulti. Sexting in aumento, dicono gli esperti, ma parliamo di stime perché studi approfonditi non ce ne sono. «L’entità esatta non è ancora chiara ma i dati raccolti finora ci dicono che la condivisione di materiale autoprodotto fra minori è crescente, non in modo allarmante ma crescente» conferma il direttore della polizia postale, Roberto Di Legami, che vede la questione dal punto di vista dei reati che produce. E di sicuro ne produce se a partire dal sexting si arriva al «sextorsion», fusione fra le parole «sesso» ed «estorsione» che sta ad indicare un’altra parabola ascendente della Rete: l’estorsione sessuale.

2. Perché gli adolescenti lo fanno?
Per dirla con lo psichiatra e psicoterapeuta Gustavo Pietropolli Charmet «lo fanno per pura e semplice ricerca del potere». In sostanza si  spogliano per verificare il potere della propria seduttività erotica. Finché sono adulti e consapevoli va tutto bene, i problemi ovviamente nascono con i minorenni. Internet è impersonale, abbassa le barriere del pudore e, soprattutto, ha un pubblico planetario che guarda e clicca sulla manina con il pollice alzato — i «like» —, spesso vera e unica attrazione sia per chi decide di condividere un’immagine dal contenuto sessuale esplicito sia per chi diffonde immagini al trui e resta alla finestra virtuale del Web a vedere l’effetto che fa. Tanti «like» significa autostima, tanto consenso che magari si è cercato inutilmente nel popolo reale prima che in quello virtuale.
È la ricerca del successo e dell’affermazione di sé non trovati nella vita quotidiana. Ma per gli psicoterapeuti è anche un’ammissione di fragilità e di disagio, un campanello d’allarme che rivela quel sentirsi inadeguati tutto adolescenziale davanti alla vita reale. Tutto questo immaginando la volontà di apparire, appunto. Ma come ci raccontano molti casi di cronaca, non sempre la condivisione di contenuti sessuali passa dalla volontà degli interessati.

3. Quali sono i rischi?
Facciamo l’esempio più classico. Una coppia minorenne che si scambia fotografie a sfondo sessuale via telefonino. Tanto per capirsi: lo scambio in sé sconfina nel terreno della pedopornografia nel momento stesso in cui la foto viene diffusa. È un reato. Dopodiché è chiaro che il problema giuridico non si porrà mai se le immagini resteranno per sempre nella memoria del telefonino di chi le riceve. Ma le storie di chi ha finito col diventare vittima di una diffusione non voluta insegnano che anche le intenzioni più innocenti possono cambiare nel tempo, per esempio se quella coppietta si lascia e uno dei due si vendica proprio facendo diventare pubblici gli scatti. Ernesto Caffo, docente di neuropsichiatria infantile all’Università di Modena e Reggio Emilia nonché fondatore di Telefono Azzurro ricorda un altro dei rischi del sexting: «Non è certo una novità scoprire che dietro account di persone che si dichiarano giovanissime ci siano alcune volte adulti che usano la Rete per adescare minori.
Capita che in pochi secondi un’azione fatta senza la consapevolezza delle conseguenze abbia un impatto poi drammatico sulla vita di questi ragazzi che vivono nella Rete, mentre i loro genitori in quel mondo si muovono incerti e insicuri».
4. Cosa possono fare i genitori?
Ecco il problema dei problemi. Tanto per cominciare «bisogna stare calmi perché siamo adulti» è il consiglio base di Matteo Lancini, psicologo, psicoterapeuta e presidente della Fondazione Minotauro (istituto di analisi dei codici affettivi). «L’errore più grave è mostrare lo stato di ansia e di agitazione che impedisce ai ragazzi di trovare nel padre o nella madre una risorsa per chiedere aiuto. Punire, arrabbiarsi, togliere il telefonino, è un modo per riprendersi l’autorità a basso tempo ma non funziona. Così minimizzeranno, nasconderanno, banalizzeranno. E invece bisogna parlare, lasciare lo spazio perché loro esprimano le ragioni per ciò che hanno fatto».

Parlare significa «far capire che c’è un disvalore penale in quello che fanno» riassume Carlo Solimene, direttore della Divisione investigativa della polizia postale. «Noi solo l’anno scorso abbiamo incontrato 400 mila giovani per fare educazione alla Rete. Sarebbe una buona cosa se prima di noi la facessero i genitori spiegando ai figli che in Internet niente è mai anonimo e che quindi non vale pensare di non essere scoperti oppure che diffondere un’immagine a sfondo sessuale può produrre danni enormi alla persona e guai giudiziari molto seri». Charmet rimuove il problema alla radice: «Sarebbe meglio rinunciare a guardare cosa c’è nel telefonino».
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mercoledì 11 novembre 2015

Educare i bambini con amore e rispetto

EDUCARE I BAMBINI CON AMORE E RISPETTO

"Ogni volta che nasce un bambino, nascono un padre e una madre. E da quel momento crescono insieme in saggezza e virtù". Con questa premessa il pediatra spagnolo Carlos Gonzàles, già autore del bestseller Besame mucho, si occupa nel suo nuovo libro  Genitori e figli insieme (Il leone verde) dell'educazione dei bambini dopo la prima infanzia.

L'autore e pediatra spagnolo conferma l'approccio di Besame mucho, cioè che i bambini sono essenzialmente buoni (e non furbetti manipolatori e capricciosi) e che le loro necessità affettive sono importanti. Ai genitori spetta un chiaro compito: quello di dare loro affetto, attenzione e di trattarli con rispetto e gentilezza. Ecco la sua visione educativa in 10 concetti chiave. 

1 I figli crescono in fretta. Godetevi la loro infanzia e non preoccupatevi di piccoli problemi
I genitori devono sempre tenere presente che quelli che oggi sembrano problemi insormontabili, domani saranno aneddoti (ricordati magari con malinconia). "State tranquilli genitori, presto il vostro bambino smetterà di piangere di notte, imparerà ad andare in bagno, smetterà di chiedervi di voler stare in braccio, di chiedere infiniti perché. I bambini crescono, e noi con loro. L'infanzia è fugace. Non lasciamo che l'ossessione di correggerla ci impedisca di trarne piacere". 

2 I genitori hanno un'autorità naturale sui figli ma va esercitata con rispetto e gentilezza
E' un'autorità naturale, inevitabile, irrinunciabile. "Noi genitori abbiamo autorità perché i figli ci amano tantissimo e desiderano obbedire. I piccoli sono molto contenti che siano i genitori, che considerano molto forti e intelligenti, a prendere decisioni. I bambini piccoli vogliono obbedire. I genitori devono prendere consapevolezza di questa loro autorità e imparare ad impartire ordini in modo adeguato. Cioè con rispetto.

Quando nasce un figlio bisogna impegnarsi a parlar loro con rispetto, dar loro informazioni o istruzioni con educazione, riprenderli quando è necessario, ma senza astio, né urla. Ad esempio dire a un bambino: "Attento, non toccare si rompe!" dirlo con tono gentile e con il sorriso sulle labbra, è già riprenderlo, nulla di più. Ovviamente il tono gentile e rispettoso va allargato a tutta la famiglia, al partner, ai vicini di casa e agli sconosciuti. "Prendiamo l'abitudine di chiedere per favore, di ringraziare e di sorridere: saremo più felici e insegneremo ai nostri figli la maniera corretta di comportarsi in società."

3 Non sprecate la vostra autorità per cose senza importanza
Non si possono rimproverare i figli, né si può imporre l'autorità quando si tratta di cose senza importanza. Sia perché non è ragionevole, ma anche perché, così facendo, si perde autorità.

"L'autorità è come il denaro: serve a ottenere molte cose, ma più se ne spreca, meno ne rimane. Molti genitori sprecano la loro autorità in questioni che non hanno nessuna importanza: "Non mettere le dita nel naso, siediti dritto, finisci la verdura ecc..."

A volte è un susseguirsi di ordini e divieti che diventano il sottofondo della vita del bambino. Come farà il bambino a distinguere, in questa valanga di ordini, quelli un po' più importanti come "fa' i compiti" o "non giocare con l'accendino? Se un bambino è abituato a sentirsi gridare "No!" ogni momento, arriverà a un punto in cui non ci farà più caso, anche quando il genitore gli griderà di non attraversare la strada che sta arrivando una macchina. 

4 I bambini sperimentano cosa è giusto e sbagliato. Non prendetevela ma con amore spiegate loro il comportamento corretto.
Spesso i genitori si arrabbiano molto perché i piccoli ripetono ciò che gli è stato proibito. I bambini fanno questo non per sfida, ma perché stanno sperimentando, vogliono vedere la reazione dei grandi. "I bambini hanno bisogno di tempo per imparare, come noi adulti del resto, e devono capire bene cosa è giusto e cosa è sbagliato. Gli ordini degli adulti possono risultare contraddittori o poco chiari".

Quindi il consiglio è di reagire davanti all'ennesimo comportamento sbagliato con calma e spiegare con rispetto e amore per l'ennesima volta come si fa'; senza andare su tutte le furie. Per tranquillizzarvi tenete a mente che con il tempo il piccolo imparerà, ad esempio pensate che nessuno a dieci anni butterà il cibo per terra e quasi nessuno lo farà a cinque anni. E ripensate al punto 1, che l'infanzia è un momento fugace. E se vi accorgete che faticate a trattenervi prima di urlare e poi pentirvene: uscite dalla stanza e tornate quando siete calmi.

5 Imparate dai pubblicitari e dai politici
"Bevete Coca Cola". Questo slogan pubblicitario è stato uno dei massimi successi comunicativi mondiali. Prendete esempio. I pubblicitari non si esprimono con violenza, né promettendo punizioni o premi. Ma solo con la semplice ripetizione paziente e costante la maggior parte delle persone obbedisce.

Un altro esempio è la diplomazia dei politici. Quando le grandi potenze devono trattare con i Paesi piccoli spesso cedono sulle questioni minori e insistono su quelle importanti, in modo che il Paese piccolo possa sentirsi soddisfatto e conservare la dignità. Se lo fanno le superpotenze, potete farlo anche voi genitori: concentratevi sulle questioni importanti, lasciate correre quelle minori.

6 I bambini hanno bisogno di regole, ma non vanno insegnate come se fossero questioni di vita o di morte
I bambini hanno bisogno della nostra guida e del nostro aiuto per imparare a fare tutto, dal giocare al lavarsi i denti. Ma non si possono insegnare le regole minori, quelle legate a convezioni della vita quotidiana, come se fossero questioni di vita e di morte. Non è la stessa cose se vostro figlio picchia un altro bambino o se mette i piedi sul divano. In quest'ultimo caso basta dirgli con gentilezza: "Togliti le scarpe prima di salire sul divano perché si sporca". Dirlo, spiegarne il motivo e ripeterlo con la stessa pazienza tutte le volte che è necessario. Scoprirete che si può far smettere questo comportamento senza punire, urlare o picchiare, semplicemente chiedendo con educazione, spiegandolo con pazienza e ripetendolo senza stancarsi.

Nel caso in cui vostro figlio stia picchiando un altro bambino, bisognerà intervenire in modo più energico, trattenendolo fisicamente, allontanandolo e chiedendo scusa al bambino picchiato. Infine spiegargli con calma che non si picchiano gli altri bambini.

7 Se un adulto non mangia, non viene punito. Allora perché punire un bambino?
La punizione è del tutto superflua nell'educazione dei figli. Innanzitutto bisogna pensare che la stragrande maggioranza degli adulti non punisce gli adulti. Se un amico fa qualcosa di sbagliato glielo si fa notare, ma non lo si punisce. Quindi perché bisognerebbe punire un bambino se non lo si fa con un grande?

Inoltre, se si va a vedere nelle scuole, gli insegnanti più bravi e più rispettati dagli allievi non sono quelli che minacciano punizioni.

I genitori hanno il diritto e il dovere di porre regole ragionevoli, di insegnare le buone maniere e di farle rispettare. Ma non di punire.  Soprattutto per comportamenti che non implicano nessun reato. Se un bambino non vuole mangiare tutto, forse non ha fame. Nessuno punirebbe un adulto perché non mangia. Quindi lasciate pure che il piccolo non mangi.

Se un bambino non vuole mettersi il cappotto prima di uscire, non è per dispetto, ma è perché in casa ha caldo e non è ancora in grado di capire che fuori fa freddo. Sarebbe assurdo punirlo per questo. Piuttosto si può  portare fuori il bambino senza cappotto, così sentirà freddo e vorrà subito indossare il cappotto.

8 Se un bambino fa una cosa solo perché si aspetta un premio non imparerà a farla bene
Anche i premi sono inutili e controproducenti. La spiegazione dell'inefficacia dei premi si basa sulla distinzione tra motivazione interna e motivazione esterna. Quando percepiamo di fare una cosa perché ce l'hanno chiesta, ci hanno obbligati, ci hanno promesso un premio o fatto pressione, la facciamo poco e male. Quando abbiamo l'impressione di fare una cosa perché ci piace, ne abbiamo voglia o perché ci è venuta l'idea, la facciamo di più e meglio.

9 Elogiate il risultato e il lavoro svolto e non il bambino
Gli elogi non sono demotivanti come i premi solo se fatti al risultato e al processo e non alla persona. Ad esempio anziché dire: "Sei molto brava in matematica" meglio dire: "Hai studiato molto" (elogio al processo), oppure: "Che bel voto che hai preso in matematica" (elogio al risultato).

Gli elogi al processo e al risultato sono motivanti: il bambino che ricevi elogi cerca di continuare a fra le cose bene. Soprattutto se il genitore mostra un interesse reale.
Al contrario gli elogi generici alla persona possono essere demotivanti. Lo stesso vale per le critiche. Quando è necessario farne una, è importante farla al processo o al risultato, mai alla persona. Chi crede di aver fatto meglio qualcosa è più disposto a fare nuovi tentativi per ottenere risultati migliori. Chi ha ricevuto critiche personali sembra pensare "non sono bravo, meglio lasciar perdere, non sono capace".

Quindi il genitore devi abolire frasi come: "Sei un disastro" "Non fai mai attenzione", "Che pazienza devo avere con te", e sostituirle con frasi: "Dovresti finire di mettere via i giocattoli", "Puoi rifare questa divisione?", "Attenzione, le scarpe sono infangate, si sporcherà il divano". 

"I nostri figli devono imparare fin da piccoli che li valutiamo per il lavoro svolto, anche se non sempre raggiungono l'obiettivo; che i buoni risultati sono frutto del suo impegno e non di capacità innate; che di fronte alle difficoltà è possibile riprovare invece di mollare."

10 Alimentazione: date voi genitori l'esempio mangiando cibi sani e non siate assillanti se non finiscono le verdure
Oggi tra gli adolescenti c'è un problema obesità, dovuto principalmente all'abuso di patatine, di bevande zuccherate e di cibi precucinati ricchi di sale  e grassi. 

Ma per prevenire questi atteggiamenti i genitori non devono essere assillanti con i piccoli insistendo perché mangino tutto e finiscano la verdura. "Quando ogni pasto diventa una battaglia, è possibile che crescendo arrivino ad aborrire alcuni cibi per sempre. Se invece rispettiamo i bambini, con gli anni, crescendo impareranno a mangiare un po' di tutto.

Inoltre è importante che i genitori diano il buone esempio, preparino cibi sani
 e li mangino. "Mangiate voi le verdure e smettete di assillare il bambino. Se in casa c'è solo cibo sano, i bambini mangeranno cibo sano. E se non vogliono la pietanza di oggi, non insistete, non promettete, non minacciate e non offrite alternative. Ad esempio se non vuole i ceci, non offritegli uno yogurt. Se il bambino lo chiede spontaneamente, dateglielo, altrimenti non proponetelo. Offritegli un buon esempio di alimentazione nei primi anni di vita. Poi continuerà da solo."
Fonte: www.nostrofiglio.it
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mercoledì 4 novembre 2015

Come insegnare il rispetto delle regole

COME INSEGNARE IL RISPETTO DELLE REGOLE

Una mamma esasperata scrive che ogni sera l’andare a nanna diventa una battaglia con pianti e urla, perché la figlia di due anni non vuole mai smettere di giocare. Si addormenta solo quando crolla esausta.
Un’altra non sa più che fare col figlio di quattro anni: in casa si oppone a ogni regola, mentre fuori sa essere bene educato. Sembra farlo apposta a disubbidire solo a genitori. Un maestro chiede suggerimenti per ammansire tre bambini che non accettano alcuna disciplina e impediscono le attività in classe.
Un pediatra è irritato coi genitori che non riescono a dare la medicina al bambino “perché lui non la vuole”.
Tutti questi problemi sono variazioni sul tema: che cosa può facilitare (e che cosa può ostacolare) l’interiorizzazione delle norme nei bambini?
Già da neonati i bambini hanno sete di conoscere le leggi del mondo fisico, relazionale e sociale. Nella nostra cultura si è progressivamente fatta strada la concezione del bambino come soggetto da conoscere e da rispettare sempre, fin dai primi momenti di vita. È una cosa buona, che ha profondamente migliorato il rapporto genitori-figli.
Però rispettare il bambino non significa sottomettersi a lui, né depauperarlo dell’insegnamento e della trasmissione delle regole necessarie per il vivere civile. Non basta sancire e far rispettare le regole, lasciando che rimangano condizionamenti esterni. Bisogna che siano apprese e interiorizzate, perché il bambino impari a cavarsela.

Come insegnare il rispetto delle regole?

Nei momenti di “veglia vigile”, già i neonati osservano attenti tutto quello che accade intorno a loro, per capire come funziona il mondo. Giorno dopo giorno, con la crescita, questo tipo di osservazioni si fa sempre più fitto e sistematico verso il mondo intero: fisico, vegetale e animale, ma – soprattutto – umano. Questa rete di acquisizioni tra loro integrate è fondamentale per strutturare e consolidare l’apprendimento sul “come si fa a…”: a ottenere le cose desiderabili; a eliminare le cose sgradevoli; a entrare in contatto con gli altri, o a interromperlo senza gravi conseguenze sul rapporto; a padroneggiare gli eventi; ad acquisire potere nelle relazioni; a gestire i conflitti interni; a non farsi sopraffare; a far la pace; a consolarsi; e così via, per ogni situazione reale o ipotetica.
Questa è la prima e fondamentale via attraverso cui i bambini conoscono e interiorizzano le norme sociali della cultura in cui sono nati. Le norme così apprese saranno vissute come naturali, ovvie, di base, universali, assolute.
Molto tempo dopo, in un lungo processo che spesso parte dall’adolescenza, l’ex- bambino potrà scorgere che quelle norme non sono poi così naturali, universali e assolute, ma che sono relative alla cultura in cui è nato e si è interiormente formato.
Potrà però riconoscerne il valore sociale pratico, in quanto regole necessarie per il vivere civile e per una socialità basata sul riconoscimento reciproco, su equità, giustizia, solidarietà, efficienza e adeguatezza.
Purtroppo, l’auspicabile scoperta che tutte le norme, anche le più fondamentali o
meravigliose, sono relative e quindi fragili e quindi preziose non sarà raggiunta da
tutti, né sempre, né per tutte le regole. Così, norme fondamentali potranno essere violate perché misconosciute nella fragilità del fondamento che le rende preziose.
L’apprendimento del “come si fa a…” si attiva in ogni occasione in cui ci si prospetta qualcosa di nuovo; ma quanto più si è piccoli, tanto più forti e sistematiche saranno sia l’attivazione, sia l’interiorizzazione delle norme.

I comportamenti-domanda

In quell’assiduo, sistematico, immane processo di apprendimenti, il bambino va sperimentando sia la realtà fisica, sia gli atteggiamenti e le risposte dei grandi, assumendo atteggiamenti provocatori, per provocare, appunto, risposte chiarificatrici, sia fisiche, sia verbali, sia comportamentali.
Per esempio, mentre fa il gesto di battere il martello sul tavolo o quando fa un capriccio, lancia uno sguardo agli adulti presenti, per vedere cosa pensano e cosa fanno, cioè per imparare cosa è raccomandabile, cosa è permesso e cosa è proibito.
Bisogna cogliere quei gesti provocatori: è quello il momento in cui il bambino chiede che gli venga insegnata una regola. Sgridarlo e basta vuol dire perdere una preziosa occasione.
È un momento conoscitivo che rimarrà per sempre come base per ogni successivo momento esecutivo di adesione o ribellione alle norme. Questi test, che il bambino sistematicamente fa, sono equivalenti a domande, quali: “Che conseguenze devo aspettarmi quando…”; “Cosa succede se…”; “Come devo fare per…”; “Come si fa a…”; “Cosa succede se non faccio questo?”…
Bisogna che noi adulti non fraintendiamo il significato di domanda che certi comportamenti possono avere. A ogni domanda si deve dare risposta.

Un esempio

Un bambino di due anni e mezzo vuol esser preso in braccio. Il papà gli dice: “Cammina ancora un po’: ci siamo quasi”. Il bambino, guardandolo di sottecchi, piagnucola: “Ho male ai piedi”. E il papà, prendendolo in braccio: “Sei stufo di camminare, ma non hai male ai piedi. Conviene non dire bugie, se no gli altri non ti credono più anche quando dici la verità”. Il bambino resta pensoso. Poi, tra sé e sé:
“Non lo faccio più”. È accaduta una cosa importante per quel bambino: nel clima di buon rapporto col papà (per lui il massimo esperto della vita), ha potuto riconoscere una norma fondamentale per le relazioni umane e interiorizzarla.
A questo punto è facile individuare i principali fattori che facilitano l’interiorizzazione delle norme: il nostro comportamento rispettoso di esse; la chiarificazione sulla sensatezza e comprensibilità delle norme che poniamo; la nostra coerenza nel prospettare le norme e nell’esigerne il rispetto. Ma più importanti di tutti sono la nostra disponibilità ad assumerci il ruolo di autorità che sancisce e trasmette le norme; e l’equilibrio fra rigore delle norme e intelligenza del perdono, sempre uniti a un realistico incoraggiamento.
In sostanza, per facilitare l’interiorizzazione e la strutturazione di atteggiamenti etici (individuali, relazionali e sociali), prima di tutto dobbiamo averli interiorizzati noi. Poche cose sono diseducative come l’ipocrisia e la finzione. Per svelare le falsificazioni ideologiche, Marx diceva: “Guardate quello che fanno, non quello che dicono”. I bambini guardano, senza bisogno di esortazioni filosofiche. Si tratta prima di tutto di un processo conoscitivo.
Autore: Paolo Roccato
Fonte: www.uppa.it
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