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venerdì 26 giugno 2015

Insomma, perché famiglia?

INSOMMA, PERCHÉ FAMIGLIA?
Parliamo di fatti provati in lungo e in largo da migliaia di psicologi i quali hanno accertato il bisogno innato di amore di ogni neonato umano. Bisogno che, per essere soddisfatto, deve avere questi caratteri: essere costante, personalizzato e totale.

Secondo noi, le ragioni di fondo che spiegano il perché della famiglia, intesa come nucleo di società umana formata da un uomo e da una donna che hanno intenzione di perdurare nella loro unione e di aver figli, le ragioni di fondo, dicevamo, sono due.

La prima è il fatto che l'uomo ha un innato bisogno di appartenenza.
Nessuno ama essere figlio di nessuno!
In altre parole, tutti nasciamo con il bisogno di una qualche paternità e maternità.
Un bisogno innato e così naturale per cui al piccolo dell'uomo non interessa tanto (si noti!) chi lo mette al mondo; interessa chi si prende cura di lui!
Se i tre o quattro bambini che nascono mentre state leggendo questa riga potessero parlare, direbbero: “Non siamo pietre: non ci basta esistere. Non siamo piante: non ci basta respirare. Non siamo bestie: non ci basta mangiare. Siamo uomini: abbiamo bisogno che qualcuno ci guardi: bisogno d'essere fatti propri da qualcuno!”.
Ecco: siamo così fatti, d'aver tutti bisogno di un secondo cuore. Chi lo trova, vive; chi non lo trova, muore. Non stiamo scrivendo sopra le righe. Stiamo parlando di fatti provati in lungo e in largo da mille psicologi i quali hanno accertato al cento per cento il bisogno innato di amore di ogni neonato umano.
Bisogno che per essere soddisfatto deve avere questi caratteri: essere costante, personalizzato e totale.
Ebbene, solo un grembo familiare può dare al piccolo un amore con questi tre connotati. Ci spiace che lo spazio ci impedisca di provarlo nei dettagli (l'abbiamo fatto altrove).
Ma, pur nella brevità, desideriamo che si sappia che siamo proprio convinti di ciò che diciamo, cioè che la famiglia è l'istituzione ideale per soddisfare il bisogno di appartenenza, il bisogno naturale d'amore dell'essere umano con i tre connotati accennati.
Qualora si trovasse un'istituzione che rispondesse meglio a tale necessità di fondo, saremmo i primi ad abbandonare la famiglia e ad abbracciare la nuova soluzione. Ma fino ad oggi non si è trovata! Né, siamo convinti, si troverà mai, a meno che non cambi l'identità dell'uomo!

La seconda ragione che spiega il perché della famiglia è il fatto che l'uomo, tra tutte le specie animali, è quello che nasce il più inetto.
Potremmo dire che nasciamo, tutti, troppo presto; a differenza degli animali che nascono non inetti, ma atti!
Il piccolo della giraffa, ad esempio, riesce a stare dritto sulle proprie gambe appena venti minuti dalla nascita; lo stesso vale per i pulcini della gallina, per i piccoli dei passerotti, delle quaglie, subito pronti per la vita autonoma.
Il piccolo dell'uomo, invece, dopo la nascita ha bisogno di continuare a nascere.
Ciò può avvenire (è qui che scatta il ragionamento!) solo se vede qualcuno che già viva da uomo e gli faccia da modello. L'uomo cresce solo all'ombra di un altro uomo.
Anche questa è una legge naturale, come quella del secondo cuore.
Non è il rapporto con le cose che ci fa crescere; neppure il rapporto con gli animali, ma solo il rapporto con altri uomini cresciuti.
In una parola: il bambino, per crescere, ha bisogno di incontrarsi, fin dalla nascita, con un uomo ed una donna 'adulti', nel senso proprio della parola (adulto, cioè cresciuto).
Fin dalla nascita, abbiamo detto.
È abbondantemente provato, infatti, che sono i primissimi anni a guidare la vita intera.
È impossibile crescere uomini se non si è accolti amorevolmente, fin dalla nascita, da qualcuno che ci insegni i primi elementi della grammatica umana.
Tiriamo la somma: il bisogno del grembo familiare è scritto nel nostro DNA sia per soddisfare il bisogno innato di appartenenza, sia per la necessità di imparare a vivere da umani.
A questo punto, le conseguenze corrono logiche.
La famiglia non sarà mai un residuo storico: non è un'istituzione dello Stato né della Chiesa, ma appartiene al diritto naturale. Ha ragione l'antropologa Margaret Mead (1901-1978): “Per quante 'comuni' (convivenze a più) si possano inventare, la famiglia torna sempre di soppiatto”.
Bersagliare la famiglia è sparare alla Croce Rossa! In questo caso dobbiamo concordare con Giuseppe Mazzini (1805-1872): “Non attentate alla famiglia: è un concetto di Dio, non nostro!”.

DITEMI SE NON È UN MARITO STUPENDO!
Una giovane donna tornava a casa dal lavoro, quando con il parafango andò ad urtare il paraurti di un'altra auto.
Si mise a piangere quando vide che era una macchina nuova, appena ritirata dal concessionario.
Come avrebbe potuto spiegare il danno al marito?
Il conducente dell'altra auto fu comprensivo, ma spiegò che dovevano scambiarsi il numero della patente ed i dati del libretto.
Quando la donna cercò i documenti in una grande busta marrone, cadde fuori un pezzo di carta.
In una decisa calligrafia maschile c'erano queste parole: “In caso di incidente, ricorda, tesoro, che io amo te, non la macchina!”.
Parole d'oro che riportarono la primavera nel cuore della donna!

DITEMI SE NON È UNA MOGLIE STUPENDA!
“Vi sono donne che dicono: “Mio marito può pescare, se desidera, ma i pesci li dovrà pulire lui!”.
Non io!
A qualunque ora della notte io mi alzo dal letto e lo aiuto a disporre, pulire e salare i pesci.
È così bello noi due soli in cucina, ogni tanto i nostri gomiti accanto. E lui dice cose del tipo: «Questo mi ha dato del filo da torcere. Luccicava come l'argento, quando balzò in aria...!». E mima il salto con la mano. Attraversa la cucina, come un profondo fiume, il silenzio del primo incontro.
Infine i pesci sono sul piatto, si va a dormire.
L'aria balugina d'argento: siamo marito e moglie”. (Adelia Prado)

Autore: Pino Pellegrino
Fonte: Il bollettino Salesiano giugno 2015

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mercoledì 24 giugno 2015

La Bici-Banco per gli studenti iperattivi

LA BICI-BANCO PER GLI STUDENTI IPERATTIVI

Di ADHD (sindrome sindrome da deficit di attenzione e iperattività) ne soffre dal 5% all’8% degli alunni. Gli alunni maschi hanno una probabilità maggiore, quasi tre volte, di essere colpiti rispetto alle femmine.
Nella Scuola primaria di Des Cèdres, a Laval in Canada, è entrato in una classe da pochi giorni un banco “strano”. Sembra una classica cyclette, ma al posto del manubrio ha un ripiano sul quale poggiare libri, quaderni, penne, matite, ecc…
Mario Leroux, un pedagogista canadese, è l’ideatore della BICI-BANCO: “Uno dei maggiori problemi nelle scuole è il deficit di attenzione. Ci sono studenti che hanno tanto bisogno di muoversi. Ma spesso disturbano la classe. Quindi ero alla ricerca di qualcosa che permettesse loro di lavorare in classe muovendosi senza disturbare gli altri compagni!”
Sono sufficienti 15 minuti di pedalata. Le sue numerose ricerche sul trattamento di tale disturbo l’hanno portato in una fabbrica statunitense di biciclette a cui ha proposto il progetto della BICI-BANCO. I primi 4 prototipi sono stati immediatamente portati nella Scuola di Des Cèdres per un primo test: gli studenti sono invitati a svolgere attività di lettura per 15 minuti mentre pedalano nel loro nuovo banco.
I risultati sono stati sbalorditivi! Gli insegnanti hanno notato subito la differenza tra un classico banco e quello progettato dal dottor Leroux.
Immediato è stato l’interesse degli specialisti del settore, come neuroscienziati e psicoterapeuti. Alcuni di loro stanno tenendo sotto stretta osservazione i cambiamenti che gli alunni con ADHD subiscono dopo l’introduzione della BICI-BANCO. Incoraggiante è stato l’intervento del dott. Joel Monzee: “I farmaci non curano il problema, lo mascherano solamente. Garantire tramite questo strumento le competenze per imparare a gestire il proprio problema di attenzione, potrebbe essere una svolta definitiva per il trattamento di ADHD”.
Per quanto riguarda la BICI-BANCO c’è poco da descrive: è un’ottima soluzione, una fantastica invenzione. Ad oggi, il primo invito fatto dagli neuropsichiatri infantili è quello di far fare degli stop ai bambini con ADHD, per farli muovere, senza però interrompere la concentrazione sul lavoro: impossibile! Con questo banco, sarà possibile!
Fonte: http://www.youreduaction.it/bici-banco-adhd/


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venerdì 19 giugno 2015

Maschi vs Femmine

MASCHI vs FEMMINE
È un dibattito accanito. Sempre più forti, anche grazie all'appoggio di molti mezzi di comunicazione, sembrano coloro che negano ogni differenza tra il "genere" maschile e il "genere" femminile. A noi restano molti ragionevoli dubbi. Ci pare che le prove della naturale differenza tra i due generi esistano e provochino spesso a livello educativo non pochi fraintendimenti. Ecco alcuni esempi.

I maschietti, fin dal secondo mese, ridono di più delle femminucce. In media 50 volte al giorno rispetto a 37. È forse un indice che, fin da piccolo, il bambino è più estroverso della bambina?
Sono stati videoregistrati bambini neonati (e quindi non ancora influenzati da alcuna 'cultura') ai quali venivano posti due stimoli visivi differenti: un viso di una donna sorridente da una parte e un pupazzo che muoveva e penzolava dall'altra. Gli occhi dei bambini venivano ripresi per essere analizzati poi da psicologi.
Ebbene, dall'analisi è risultato chiaramente che mentre i maschi preferivano nella maggioranza assoluta il giochino penzolante, le femmine si incantavano davanti al viso della donna sorridente.
I ricercatori hanno concluso che «al di là di ogni dubbio, le differenze d'interesse tra maschi e femmine, sono biologicamente innate!».
Un altro studio che ha interessato ben 37 culture diverse ha rilevato che dai tedeschi ai pigmei, dagli abitanti di Taiwan agli esquimesi, in ogni cultura, le donne sono particolarmente interessate alla posizione sociale e al potere, che questa comporta, del potenziale marito, mentre gli uomini sono maggiormente attratti dal corpo e dalle caratteristiche fisiche delle potenziali mogli.

Ma andiamo più a fondo
I maschi sono più orientati verso una strategia del potere, le femmine verso una strategia delle relazioni.
Le donne memorizzano in modo più profondo dei maschi. Se si fa un apprezzamento fisico negativo a una ragazza, ci penserà su probabilmente molto più di un ragazzo.
Se si svilisce una figlia, gli effetti possono essere prolungati e la tristezza perdurare.
Insomma, è ben giustificato il detto: «Le donne non dimenticano: archiviano».
Le donne sono più capaci di "empatia" (la capacità di 'mettersi nei panni degli altri'). Se un bambino si fa male mentre gioca al calcio, i compagni si aspettano che si faccia da parte per poter proseguire il gioco. Le bambine, invece, smettono di giocare e circondano il piccolo che piange. È la prova che nelle donne è maggiormente presente la tendenza al "prendersi cura".

Proseguiamo
Essere donna significa essere più portata a difendersi con la lingua, in modo non sempre limpido. Il narratore francese Abel Hermant (1862-1950) con fine umorismo (ma con tanta verità, secondo noi) diceva: "Gli uomini sono i plebei della menzogna; le donne ne sono l'aristocrazia!".
Altri dicono la stessa cosa quando affermano che le donne sono esperte nel bullismo verbale talora ben più grave del bullismo fisico che è più tipico dei maschi. Le donne uccidono con la lingua, gli uomini con le armi: due 'stili' ugualmente deprecabili!
Essere donna significa avere più potere persuasivo dell'uomo. Non per nulla circola il detto: «Gli uomini fanno le leggi, le donne fanno i costumi».

Ancora
Essere donna significa avere un cervello meno pesante di quello dell'uomo: 1171 grammi di fronte ai 1308 del maschio. (Va subito detto però che non vi è rapporto tra massa cerebrale e abilità mentali!)
Essere donna significa avere il sottile fascino del superfluo. È un dato di fatto che le donne sono calamitate dalle vetrine, dai mercati, dai grandi negozi (curiosità: una ricerca inglese ci rivela che le donne possiedono, mediamente, 17 paia di calze; gli uomini si accontentano di 7).
Essere donna significa avere un miglior rapporto con il linguaggio verbale (gli uomini che soffrono di balbuzie sono dodici volte più numerosi delle donne).
Sempre in tema, è proprio delle donne avere la risposta pronta, immediata, talora caustica, sprezzante, graffiante, mordace.
Essere donna vuol dire far lavorare maggiormente l'emisfero destro del cervello che presiede all'intuire, al sentire. L'emisfero sinistro attivato prevalentemente dall'uomo, presiede, invece, al razionalizzare, al calcolare.
Per questo alcuni dicono che nella donna tutto è cuore, persino la testa!
Essere donna significa essere più controllata.
I maschi tendono a mettersi in situazioni adrenaliniche, rischiose.
Fin da piccoli, quando compiono i primi passi, i bambini tendono, ad esempio, a mettere le dita nelle prese elettriche, cercano di rimanere in equilibrio su una palla, fanno capriole sopra il letto e giù dal letto... Sono più numerosi i maschi che cercano esperienze nuove (il 20% di fronte al 12% delle donne).

Terminiamo
Con un'ultima differenza: essere donna significa essere molto più misteriosa, più "complessa" dell'uomo, più introversa (è forse per questo che le ragazze amano il selfie più dei maschi?).
Tale caratteristica del genere femminile aveva colpito lo stesso Sigmund Freud (1856-1939), il padre fondatore della psicanalisi, che un giorno ha dovuto arrendersi: «La grande domanda alla quale non sono riuscito a rispondermi, nonostante trenta anni di ricerche sull'anima femminile, è che cosa vuole una donna!».

Sono solo alcuni esempi di "diversità"
'Diversità' che (si noti) non ha nulla a che fare con 'superiorità' o 'inferiorità'. Domandarsi se gli uomini sono superiori alle donne, è come domandarsi se il cucchiaio è più importante della forchetta! Mascolinità e femminilità sono due aspetti complementari: una duplicità che differenzia, ma anche arricchisce l'unico 'genere' di fondo: il 'genere' umano.
Un mondo di soli uomini, come di sole donne, sarebbe un mondo monotono e piatto come la pastasciutta in bianco che ha lo stesso sapore dappertutto!

PIETRE MILIARI
"Date una palla ad un gruppo di bambine e sempre la giocheranno con le mani. Datelo ad un gruppo di maschi e la giocheranno con i piedi" (Sigmund Freud, fondatore della psicanalisi, 1856-1939).
"Il matrimonio nasce dall'integrazione di due psicologie diverse, quella femminile e quella maschile, necessarie, senz'ombra di dubbio, per la crescita armoniosa dei figli" (Eugenio Borgna, psichiatra, primario emerito dell'ospedale di Novara, 1930).
"Per equalizzare tutto, possiamo chiamare mele le pere, in modo da cancellare ogni differenza tra i frutti?" (Vittorio Possenti, filosofo vivente).

QUESTO DICO AL FIGLIO ADOLESCENTE
• Se la gallina non è un'oca, perché noi dovremmo essere uguali?
• Solo sul vocabolario 'successo' arriva prima di 'sudore'. Nella vita mai!
• Se vuoi mangiare la mandorla, devi rompere il guscio!
• Chi non lavora, resta mediocre.
• Si vive una volta sola: non ha senso passare giorni morti.
• Il successo è una scala a pioli: non puoi salirla con le mani in tasca!

Autore: Pino Pellegrino
Fonte: Il bollettino Salesiano aprile 2015
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mercoledì 17 giugno 2015

Perché non ho denunciato

PERCHÉ NON HO DENUNCIATO

Qualche giorno fa è stato  il Denim Day, la giornata istituita 15 anni fa dall'associazione Peace Over Violenze in risposta alla sentenza della Cassazione che in Italia assolse un uomo dallo stupro di una ragazza perché indossava un paio di jeans. E in questa giornata abbiamo lanciamo la sfida di pubblicare articoli con lo stesso titolo: Perché non ho denunciato.

E cominciamo facendolo in prima persona sui blog

Nadias (Fatto)
Bettirossa (il Manifesto)
Lipperatura (Repubblica)
La27ora (Corriere della Sera)
Il corpo delle donne 

L’iniziativa è promossa da un gruppo di giornaliste che invitano tutte le altre, giornaliste e blogger, a fare proprio il titolo e l’immagine. E invita tutte le altre donne a raccontarsi rispondendo a: Perché non ho denunciato

Le adesioni che stanno arrivando a #Per­ché­No­n­Ho­De­nun­ciato  e 365 #DenimDay
Gior­gia Vez­zoli su Vita da stre­ghe
Cri­stina Obber su Non lo fac­cio più
Claudia Sarritzu su Globalist.it
Giulia Vola su Magazine delle Donne
Angela Gennaro su Huffington Post
su Twitter: #PerchéNonHoDenunciato #DenimDay

Leggete le loro storie, questa è la mia
Mica posso rovinare una famiglia. E poi come guardo sua moglie. Lei lo sa, se è successo con me, sarà già successo altre volte, lei lo sa e non vuole vedere. No, e poi cosa dico in tribunale? Dormivo. Non posso montare tutto sto casino, tutte ‘ste famiglie convolte. Ma che dico, proprio io a “salvare le famiglie”. Quella notte giravo per Milano in auto come una pazza… Ero scappata, avevo preso l’auto e l’unica cosa che sapevo fare era girare e parlarmi. Come, proprio io a pormi il dubbio? Denuncio? Ebbene sì. Proprio a me era successo e proprio io non sapevo cosa fare. Mi ero svegliata in salotto. Avevo aperto gli occhi e la sua faccia sulla mia. Peggio, le mani avevano raggiunto gli slip. Il tempo di capire. Non so quanto ho impiegato. Non lo so proprio. Immagino un fulmine, forse alcuni interminabili secondi per alzarmi, prendere chiavi e borsa. E correre. Dove?
L’auto mi è sembrata il posto dove pensare. Non correvo. Giravo piano. Parlandomi. Non so se a voce alta. O con la voce della mente, quella che uso per raccontarmi storie. Costruivo immagini, situazioni, parole. Mi raccontavo in tribunale, a dire che sì, mi capita di addormentarmi, anche a casa di amici. A volte crollo per stanchezza o perché le notti prima ho lavorato. E poi che altro avrei potuto dire. Amici, che frequento normalmente. Certo. Quasi parenti, i genitori reciproci si conoscono, abbiamo mangiato insieme tante volte. Ogni volta che vedo i miei mi chiedono come stanno, come stanno i bambini, come stanno il papà e la mamma. Consenziente? E lì avrei insultato avvocati e giudici. Certo, avevo una gonna. Bianca, stretta, un tubino bianco, le gambe abbronzate. Sul divano la gonna sale? E allora, giudice si rende conto di che sta dicendo? La gonna sale e quello ci infila le mani. Giusto? Consenziente perché l’ho lasciato andare avanti? Giudice, dormivo. Lei è una donna libera, diciamo disinvolta… E allora? Quanto avrei retto quelle domande prima di sclerare. Sclerale guardando la mia amica, la moglie. Cosa avrebbe fatto, detto? Quanto l’avrei ferita? Eravamo “troppo” intimi? Certo giudice, noi zitelle libere e disinvolte abbiamo molte relazioni intime, qualcuna sentimental-sessuale e poi tanti rapporti intimi, le chiamano famiglie sostitutive. Sesso? Lo faccio, certo. Quando voglio io.
Sono arrivata a casa che era già luce, ma senza una decisione. Una doccia. Lunghissima e con il crine che non uso mai. Dovevo lavare, lavare me e quanto mi era capitato. Non so a che punto arriva una telefonata. Un amico artista, di passaggio a Milano. Mi sente stravolta. E comincio a raccontare, dire tutto quello che mi ero detta nella notte. Sono certa, però, che della denuncia non ho parlato. Il dubbio non era archiviato. Restava una lacerazione, ma assente dalle parole. Un po’ al telefono e poi al tavolino di un bar sottocasa. L’amico, pure l’altro era un amico, oh se lo era, mi fa parlare, ripete che sono una tosta. Mi dice la sua stima. Un elenco di pregi sulle mie forze. E mi è chiaro oggi come servissero in quel momento. Non abbastanza per andare in questura. Mi racconta qualche suo piccolo guaio, i desideri futuri. Parliamo del suo ultimo progetto, ritratti alla gente qualunque accompagnati alle loro storie, in poche righe. Erano i primi anni del 2000. E l’idea di entrare nell’umanità del suo cosmo è arrivata poco dopo il fatto.
Sono entrata in Paese reale da qui all’eternità di Piermaria Romani, nella ricostruzione di un paese reale come espressione dell’arcano contatto cosmico che tutti lega… con i nostri lutti, le nostre rabbie, amori, paure. Non ho denunciato il fatto. A che punto lo avrebbero considerato stupro? Quanto avrei dovuto spogliarmi dei mie orgogli perché venisse riconosciuto? Quanto avrei scassato gli equilibri di altre persone? Non ho denunciato alla questura, l’ho fatto dalla Biennale di Venezia, da Palazzo Reale, da muri di festival dove sono passate migliaia di persone. Il mio volto, il mio nome, quello che mi era successo, tra tanti altri. E senza nessuno che mi giudicasse. Una denuncia corale. Ma silenziosa. Non è giusto, lo so. È bastato alle mie ferite. Non alla collettività e alla civiltà.

 

FONTE: http://27esimaora.corriere.it/articolo/perche-non-ho-denunciato/?cmpid=SF020103COR

 

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venerdì 12 giugno 2015

Le mamme al centro

LE MAMME AL CENTRO
Se non ci fossero le mamme, chiuderebbero tutte le scuole, tutti gli stadi, tutti i parlamenti, tutte le parrocchie...Se non ci fossero le mamme, il mondo chiuderebbe!

Dunque, punto primo: onore alle mamme! La loro 'festa' ha anche questo scopo: ricordarci la dignità della madre. Dire 'mamma' è dire 'grandezza', è dire 'mistero', è dire 'importanza'.
Per esprimere la grandezza della madre, gli ebrei hanno un simpatico proverbio: "Dio non potendo essere ovunque, ha creato le mamme".
Napoleone (1769-1821), avvertito della malattia della madre, le scriveva: "Cara mamma, mi dicono che la tua salute vacilla. Mamma, tu non stai bene! Scrivimi. Rassicurami! Perché che cosa sarebbe di me, se sulla terra non esistesse qualcuno più grande di me!?". Grandezza della mamma!
Dunque, punto secondo: la madre, per prima, non può perdere il senso del suo valore! A proposito, ha tutte le ragioni il noto divulgatore scientifico Piero Angela (1928) a mandarci questo intelligente messaggio quanto mai urgente oggi: «Immersa nei pannolini, nelle pappe, nei rigurgiti, la mamma si sente spesso frustrata intellettualmente, ma può ritrovare una diversa prospettiva se è consapevole che la sua intelligenza, il suo talento, la sua sensibilità sono praticamente le sole cose che permettono a qual batuffolo umano di emergere dalla notte animale e di diventare un essere pensante.
Tocca a lei plasmare, modellare, stimolare la nascita dell'intelligenza, della creatività, della personalità: il suo compito è molto simile a quello di uno scultore, di un pittore, di un musicista.
Il figlio è in buona parte sua 'composizione', per la quale occorre altrettanto talento quanto può occorrerne ad un artista per realizzare una creazione personale. E forse di più!».
Importanza della mamma!

Quindici punti luce
Dunque, punto terzo: la madre patentata sente la responsabilità d'esser madre. La brava mamma non può accontentarsi d'avere un cuore ben fatto; deve anche avere una mente illuminata per aiutare i figli ad impaginare bene la vita. In concreto, nel cervello della mamma riuscita hanno preso dimora alcuni punti luce, come questi:
• Ogni carezza è una piccola vittoria.
• Il bambino non è mai solo un tubo digerente.
• È meglio un bambino con una patacca in più che un bambino con una patacca in meno.
• Abolire le ringhiere è pericoloso, abolire i 'no' è da pazzi.
• Il bambino non si manda a letto: si accompagna.
• Di tanto in tanto una sorpresa nello zainetto, è una strategia che funziona sempre.
• Le parole innaffiano l'anima.
• È da saggi scrivere qualche volta sulla bocca: 'chiusa per nervi!'.
• È sempre meglio un sorriso che un brontolio.
• Se continuo a dirgli che è un buono a nulla, finirà per crederci.
• Il baccano non dà mai una mano!
• Bimbo che non gioca, gioia ne ha poca.
• La mancanza di tenerezza è più insidiosa della fame.
• Passati i dieci anni è difficile mutar panni.
• Perdere la pazienza, passi; perdere la speranza, mai!
Quindici punti luce che, connessi con un cuore ben fatto, fanno delle mamme i capolavori più preziosi del mondo.

I PROVERBI DELLA MAMMA
• Se la pernice prende il volo, il piccolo non sta a terra.
• Chi vuole buon arrosto, badi alla fiamma; chi vuole buoni figli, badi alla mamma.
• La madre vede di più con un occhio che un padre con dieci.
• Se la madre ride, il sole può anche non sorgere.
• I passi della mamma sono l'andatura del figlio.
• Cento uomini possono fare un accampamento; ma ci vuole una madre per fare una casa.
• La mano che dondola la culla, governa il mondo.

BILANCIO POSITIVO
La psicologa Anna Maria Battistin è convinta che "un figlio può rappresentare dei limiti alla carriera, alla libertà, alla vita economica". Ma aggiunge subito: "Io sostengo che noi abbiamo dai figli molto più di quanto diamo loro. Ogni donna che ha con il suo figlio un rapporto abbastanza buono, se fa un bilancio della sua vita, si accorge che, in fondo, è un bilancio molto positivo".
Un'altra madre confessa: "Il figlio è il più bel regalo al cuore!".
Un padre conclude: "I figli impediscono ai genitori di cadere nel baratro. Gridano il loro bisogno di amore e permettono così a papà e mamma di intraprendere il loro cammino interiore".

A LORO LA PAROLA
• 
"Quando sei stanca perché hai lavorato tutto il giorno, devi ancora lavare i piatti, lavare la biancheria, stirare, mentre noi guardiamo la televisione!" (Monica, nove anni).
• "Vorrei avere la tua buona volontà di lavorare, mamma, ma non vorrei assomigliare a te per la tua nervosità!" (Diego, dieci anni).

Autore: Pino Pellegrino
Fonte: Il bollettino Salesiano maggio 2015
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mercoledì 10 giugno 2015

Basta compiti per le vacanze

BASTA COMPITI PER LE VACANZE

La campagna è suggestiva: Basta Compiti, si chiama e contiene già tutto. In quattro mesi ha avuto 4 mila firme, dall’associazione Montessori al coordinamento dei Genitori Democratici, da professori anche universitari a migliaia di genitori che ogni pomeriggio/sera subiscono l’incubo di assistere i figli alle prese con operazioni e analisi logica, epica o scienze. Si tratta di una lettera che, postata su Facebook , sarà inviata al Miur e ai dirigenti scolastici.

Del resto il tema è antico. E recentemente anche l’Ocse ci ha ricordato che i nostri ragazzi studiano a casa il triplo dei coreani: una media di otto ore alla settimana che vuol dire che i «secchioni» passano il pomeriggio sulla scrivania della propria camera. A Pasqua aveva fatto scalpore una maestra che ha consigliato ai propri bambini di non fare compiti ma di impegnarsi a passare del tempo con mamma e papà, nonna e nonno.

Ora la petizione, che alla vigilia delle vacanze estive, si allarga anche a Basta compiti per le vacanze, punta a fare di questo tema un vero e proprio dibattito pubblico. Citando la Costituzione, spiega che sono inutili, dannosi, discriminanti e prevaricanti. E pone un punto non indifferente: spesso i genitori non sono capaci di fare i compiti con i figli, perché non hanno competenze adeguate.
Voi cosa ne pensate? Siete favorevoli o contrari?

Fonte: www.corriere.it 
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venerdì 5 giugno 2015

Primo "sì" alla legge sul cyberbullismo

PRIMO "SI" ALLA LEGGE 
SUL CYBERBULLISMO
“Internet non è un far west dove tutti possono fare tutto”.

È stato approvato al Senato con l’appoggio di tutti i gruppi Parlamentari il ddl 1261 “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del cyberbullismo”, prima firmataria la Sen. Elena Ferrara. I principali punti espressi nel ddl sono: formazione continua nelle scuole, un Tavolo interministeriale permanente per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno, un approccio non sanzionatorio che prevede l’introduzione della procedura di ammonimento.
Il ddl definisce il concetto di “cyberbullismo”: “qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, qualunque forma di furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica”. La norma rafforza la possibilità per il genitore o il soggetto esercente la responsabilità del minorenne, vittima di cyberbullismo, di richiedere al gestore del sito internet di oscurare o rimuovere i dati che lo riguardano (se la rimozione non avviene entro 48 ore può rivolgersi al Garante per la privacy). “Bisogna essere chiari. Minacciare, ingiuriare, ledere i diritti e la dignità altrui in rete sono azioni che hanno precise conseguenze. Internet non è un Far west dove tutti possono fare tutto. La Rete offre molte opportunità e non è da demonizzare.

Ma bisogna conoscerne i pericoli ed evitarli” ha commentato il Garante Spadafora. “Ringrazio la senatrice Elena Ferrara, prima firmataria del DDL per aver messo al centro del discorso parlamentare questo fenomeno che va contrastato sia con l’intervento immediato a tutela dei minorenni, sia con un serio e strutturato processo educativo e di consapevolezza dei nostri ragazzi e di chi accompagna la loro crescita. E ringrazio la Polizia postale per l’ottimo lavoro che continua a fare” ha concluso. Inoltre verrà istituito un tavolo tecnico presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, del quale l’Authority farà parte insieme ai rappresentati di diversi Ministeri, il Garante per la privacy, il Comitato di applicazione del codice di autoregolamentazione media e minori e le organizzazioni non governative già coinvolte nel programma nazionale Safer internet center, che avrà compiti specifici per raggiungere gli obietti di tutela e promozione dell’utilizzo consapevole della rete. Il testo ora passerà al vaglio della Camera dei Deputati.
Fonte: www.garanteinfanzia.org
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mercoledì 3 giugno 2015

Minori che scompaiono nel nulla

MINORI CHE SCOMPAIONO NEL NULLA


Spariscono nel nulla senza lasciare traccia. Oltre cento bambini all’anno in Italia. Dal 2009 a fine aprile scorso, sono stati complessivamente 610 i nuovi casi di minori dei quali si sono perse le tracce perché sottratti al coniuge, rapiti o fuggiti da casa.  Lo rivela Telefono Azzurro il 25 maggio in occasione della Giornata internazionale dei bambini scomparsi.

“Ogni anno nel mondo spariscono 8 milioni di bambini; in Europa 270 mila, cioè uno ogni due minuti – ha ricordato Caffo - in Italia dal maggio 2009 ad aprile 2015 il numero 116000 ha gestito 610 casi di bambini spariti. Nel 38% dei casi si trattava di fughe da casa, nel 31% di fughe da istituti, nel 10% di sottrazioni internazionali, nel 6% di minori stranieri nonaccompagnati”.

Secondo i dati diffusi da Vittorio Piscitelli, commissario straordinario del Governo per le persone scomparse del Ministero dell’Interno, sono 15.117 i minori scomparsi in Italia e mai rintracciati dal 1974 al 2014. 13.489 sono stranieri, 1.628 italiani. In generale, tra tutte le persone di cui si è registrata la sparizione il 51,7% ha meno di 18 anni.
Nel 2014 in Europa la linea 116000 ha gestito 6.119 casi di bambini scomparsi. Telefono Azzurro, in collaborazione con la federazione Missing Children Europe, ha lanciato la campagna #Salvail116.000, salva un bambino per poter continuare a garantire un servizio essenziale che rischia di chiudere dopo il taglio dei fondi da parte della Commissione Europea. 

L’anno nero è stato il 2013 con 119 piccoli inghiottiti nel nulla. L’analisi è stata fatta sulla base delle segnalazioni giunte al 116000, il numero unico europeo per i minori scomparsi, affidato in Italia a Telefono Azzurro. Tra i 610 nuovi casi di scomparsa (le tipologie contemplate sono: sottrazione parentale nazionale e internazionale, rapimento, fuga da casa/istituto, minori stranieri non accompagnati e altro motivo), il maggior numero (44,9%) riguardano casi di sottrazione parentale. Il buco nero degli scomparsi italiani in sei anni e quattro mesi riguarda soprattutto i bambini fino a dieci anni (45,7%), mentre è piuttosto bilanciato il genere: il 50,2% sono maschi. Da un punto di vista geografico delle attivazioni alle Forze dell’Ordine, si evince che il 23,5% delle segnalazioni arrivate al 116.000 è stato inoltrato alla Lombardia, il 21,8% al Lazio. Mentre il paese europeo con cui si è instaurata maggiore collaborazione è la Romania (23,7%). Sono stati 229 i ritrovamenti .
ll 116000 ha accolto dal 2009 al mese scorso 1254 nuove segnalazioni di scomparsa, ritrovamenti, avvistamenti e aggiornamenti su casi di minorenni scomparsi. Si stima che siano circa 8 milioni i bambini scomparsi ogni anno nel mondo, 250.000 in Europa (addirittura un caso circa ogni due minuti).

“Il silenzio che condanna le vittime all’abbandono e all’oblio può e deve essere rotto innanzitutto prendendo coscienza di un fenomeno sommerso, socialmente rilevante, ma difficile da monitorare – commenta Telefono Azzurro -. Davanti a questi fenomeni è necessario però fare di più, a cominciare dalla prevenzione. Occorre riflettere sulla tempestività delle ricerche e ripensare le procedure da attivare nelle primissime ore successive alla scomparsa di un bambino, con un migliore coordinamento globale degli interventi”.

Per Monsignor Marcelo Sanchez Sorondo, Cancelliere delle Pontificie Accademie delle Scienze, “con la globalizzazione dell’indifferenza, mossa dal solo profitto, sono aumentati i modi in cui i bambini sono vittimizzati”.  Tra questi “la vendita di organi, l’avviamento alla prostituzione e alla pornografia, narcotraffico, l’elemosina forzata, le adozioni trasfrontaliere irregolari, i matrimoni forzati, il reclutamento di bambini soldato, la schiavitù da parte di gruppi terroristici e il lavoro forzato”. Per fermare questa nuova Strage degli Innocenti, secondo Sorondo, servono “una buona politica economica e ambientale, perché una delle cause è l’indigenza”.

Autrice: Monica Ricci Sargentini

Fonte: www.corriere.it
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dalla parte dei bambini, SEMPRE