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venerdì 27 marzo 2015

Vittime di bullismo, cosa fare?

VITTIME DI BULLISMO, COSA FARE?


Negli ultimi anni il fenomeno del bullismo si è diffuso a macchia d’olio, in tutti i gradi scolastici, anche alle elementari, e con un aumento notevole tra il sesso femminile. Sia in televisione che sui giornali appaiono spesso articoli con questo argomento che sottolineano l’importanza della diffusione delle informazioni in merito.
Sicuramente una informazione adeguata potrebbe, se non prevenire, sicuramente fare in modo che gli adulti di riferimento (genitori ed insegnanti) possano riconoscere quei comportamenti tipici delle vittime di bullismo.

La vittima di bullismo subisce delle conseguenze a livello psicologico che non sono da sottovalutare. Può infatti sviluppare sempre di più una bassa autostima, fino ad arrivare a forme di depressione, di isolamento sociale, di aggressività (identificazione con il persecutore), di rifiuto della scuola, e di tentativi di suicidio.
Diversi studi hanno sottolineato che spesso la vittima e il carnefice in qualche modo si “scelgono”. Si è visto infatti che le vittime “privilegiate” sono spesso bambini/e tendenti ad un carattere timido e introverso, sono insicuri e ansiosi, con un basso livello di autostima, non sono assertivi e non sanno difendersi (vittime passive). Altri tipi di vittime hanno invece un carattere che non solo rispecchia quello delle vittime passive, ma anche quello dei bulli. Avendo un carattere “combinato” tra una tendenza passiva e l’altra reattiva e provocatrice, diventano una volta vittime e l’altra bulli, riproponendo con altri ciò che loro subiscono.
Il bullo viene così attirato da coloro che reputa in qualche modo indifesi e li sottomette. Non è la vittima a provocare in qualche modo il bullo, ma è quest’ultimo che viene “stimolato” proprio dall’isolamento dell’altro bambino, dalla sua apparente debolezza, dal comportamento insicuro percepito.

Proprio delle recenti ricerche hanno dimostrato che nelle vittime, il bullismo può causare o aggravare sintomi psicosomatici e psicosociali, come una bassa autostima, un disturbo depressivo, un disturbo di ansia.

Alcune volte i bambini che subiscono bullismo possono assumere alcuni dei seguenti comportamenti:
· Improvviso rifiuto ad andare a scuola;
· Non riescono a concentrarsi nei compiti per casa;
· Parlano poco di ciò che accade a scuola;
· Hanno pochi amici, anche se dicono di averne molti;
· Perdono spesso oggetti di cacelleria;
· Dormono male;
· Inventano diverse scuse per non andare a scuola;
· Sono infelici e insoddisfatti;
· Possono presentare spesso lividi, graffi, abiti strappati;
· Chiedono soldi di continuo/Dicono spesso di perdere soldi;
· Compiono strani percorsi per arrivare a scuola;
· Presentano scoppi di rabbia eccessivi;
· Marinano la scuola;
· Commettono piccoli furti.

A scuola invece possono comportarsi nei modi seguenti:
· Rimangono spesso da soli durante la ricreazione;
· Vengono esclusi quando si organizzano giochi di squadra;
· Peggioramento del rendimento scolastico;
· Spesso sono depressi o spaventati;
· Stanno sempre vicino agli insegnanti;
· Non partecipano alle discussioni di classe;
· Vengono preso in giro di continuo dai compagni (che spesso riferiscono trattasi solamente di un gioco).

Una cosa da tener sempre presente è che la vittima spesso lo nasconde ai genitori e agli insegnanti. A volte perché ha paura di quello che potrebbe fargli il bullo una volta scoperto, a volte perché ha paura delle reazioni dei genitori.

Se ci si accorge che un bambino è vittima di bullismo, si può:
· Coinvolgere la scuola, parlandone sempre prima con il bambino, anche se non è d’accordo. Non va posto come imposizione, ma si dovrà arrivare ad una sorta di accordo, anche se con riluttanza da parte del bambino. Questo per non farlo sentire ancora una volta vittima;
· Spiegate al bambino che non è l’unica vittima;
· Ripetete all’infinito a vostro figlio che lo amate, che siete dalla sua parte, e che non è assolutamente colpa sua se gli è successo questo (che tra l’altro è la verità);
· Evitate assolutamente le “spedizioni di vendetta” a casa del bullo o di parlare direttamente e in modo sgarbato ai genitori dello stesso. Il problema non si risolve, anzi, spesso i litigi tra i genitori aggravano la situazione tra i figli (i bulli diventeranno ancora più bulli e le vittime ancora più vittime);
· Evitate di dire a vostro figlio di rispondere con altrettanto, se poi non ci riesce la sua autostima si abbasserà ulteriormente;
· Prevedete del tempo da passare con vostro figlio, per parlare di quello che prova, o per stare semplicemente con lui;
· Dategli dei compiti da eseguire (che siano alla sua portata) e fategli i complimenti per la riuscita, così da cercare di aumentare l’autostima;
· Non sgridateli se stanno andando male a scuola. Aumentereste il carico dei sensi di colpa: a nessuno piace andare male a scuola;
· Non date al bambino oggetti di valore da portare a scuola;
· Chiedetegli cosa succede durante la ricreazione, fatevi vedere interessati alla sua vita;
· Se pensate che la situazione sia veramente critica, non mandate vostro figlio a scuola finché non siete sicuri che tutto sia sistemato.
Inoltre è di fondamentale importanza insegnare al bambino delle tecniche di assertività, a riconoscere e a controllare le proprie reazioni emotive e ad misurare la propria autoefficacia in modo adeguato.

Autrice: Dr.sa Paola Romitelli
Fonte: www.psicologiailfilo.it
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mercoledì 25 marzo 2015

Disturbi alimentari

DISTURBI ALIMENTARI: ANORESSIA, BULIMIA E ALIMENTAZIONE INCONTROLLATA
 
ll 15 marzo oltre 60 città italiane si sono colorate di lilla. E' stata la quarta edizione della Giornata del fiocchetto lilla per combattere insieme i disturbi del comportamento alimentare.

Anoressia, bulimia, alimentazione incontrollata, binge eating desorder. Il 40% dei disturbi del comportamento alimentare - che solo in Italia interessa 3 milioni di persone - si manifesta tra i 15 e i 19 anni, ma negli ultimi tempi si è assistito a un notevole abbassamento dell’età: i primi "segnali" possono comparire anche nella preadolescenza, tra gli 8 e i 12 anni.

A soffrirne sono in particolare le ragazze ma il fenomeno sta coinvolgendo anche i ragazzi: si conta 1 maschio ammalato su 9 ragazze. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità le patologie di tipo anoressico e bulimico rappresentano tra gli adolescenti la seconda causa di morte dopo gli incidenti stradali.

Diversi sono i campanelli di allarme che devono far tenere alta la guardia sulla possibilità di sviluppo di un disturbo alimentare, spiegano gli esperti. Tra questi: preoccupazione per il cibo e il peso; dieta eccessiva; conto delle calorie; pesarsi più volte al giorno; sentimenti di colpa e di vergogna relativamente all’alimentazione; comportamenti bulimici; sentirsi grassi pur avendo un peso normale; eccessiva attenzione all’esteriorità; ipersensibilità verso qualsiasi tipo di critica; cambiamenti emotivi. Ogni anno 10 mila persone entrano in un tunnel fatto di bugie e fame, di sotterfugi che le famiglie difficilmente sanno intercettare.

Bisogna iniziare a fare più informazione. Parlarne è la prima cura. Chiedere aiuto a specialisti. Serve un approccio multi disciplinare (che affronti alimentazione, problemi della famiglia e psichici). Uscire dalla malattia è possibile: il 35 % guarisce in 3 anni, 35 % in 6, gli altri sviluppano la fase cronica e spesso arrivano alla morte. Un altro muro insormontabile è il deficit sanitario che c'è in Italia su queste patologie. Una quindicina le strutture pubbliche specializzate con un massimo di 20 posti ciascuna. Liste di attesa di mesi che spesso possono essere fatali. Come per Giulia 17 anni genovese. Aveva deciso di farsi curare. Ha atteso 40 giorni la visita e poi è stata messa in lista d'attesa. Il 15 marzo 2011 non si è più svegliata. Il suo cuore , per mancanza di potassio da vomito autoindotto, si è fermato.

La Giornata del fiocchetto lilla è nata per ricordarla e per fare prevenzione e informazione. Partendo da Genova si è estesa in tutta Italia grazie all'associazione "mi nutro di vita" fondata dal padre Stefano.
www.minutrodivita.it per le info sugli eventi del 15 marzo.
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venerdì 20 marzo 2015

Papà medaglia d'oro

PAPA' MEDAGLIA D'ORO
Il mese di marzo ci regala la Festa dei papà. Sarebbe imperdonabile lasciar passare l'occasione, senza parlare di una presenza fondamentale nell'educazione dei figli. Una cosa è certa: se non rivalutiamo la figura paterna, faremo poca strada.


Basta con i papà di carta, descritti dai libri! È mille volte preferibile mostrarli in diretta, in carne e ossa. Sono questi i veri Trattati dell'arte della paternità. Ecco, dunque, una splendida rassegna di papà che ci insegnano ben più di quanto raccontano cento pedagogisti nei loro volumi.
Il papà di Madre Teresa di Calcutta
«Era un uomo severo e da noi pretendeva molto. Ma era anche molto generoso. Donava a tutti cibo e denaro, senza farsi notare né vantarsi. Diceva sempre: "Dovete essere generosi con tutti come Dio è stato generoso con noi: ci ha dato tanto, tanto, per cui fate del bene a tutti".
Una volta mi ha detto: "Figlia mia, non prendere mai né accettare mai un boccone di pane, se non è diviso con gli altri". Un'altra volta mi disse: "L'egoismo è una malattia spirituale"».


Il papà di Enzo Biagi, scrittore
«Di mio padre ricordo la grandissima generosità, l'apertura e la disponibilità verso tutti. Non è mai passato un Natale - e il nostro era un Natale modesto - senza che alla nostra tavola non sedesse qualcuno che se la passava peggio di noi. Non è mai arrivato in ritardo allo stabilimento. E io ho imparato che bisogna fare ogni giorno la propria parte».


Il papà di san Giovanni Paolo II, papa
«Mio padre è stato meraviglioso e quasi tutti i miei ricordi d'infanzia e di adolescenza si riferiscono a lui. Era così esigente con se stesso da non aver bisogno di mostrarsi esigente con suo figlio. Il suo esempio era sufficiente a insegnare la disciplina e il senso del dovere. Era un uomo eccezionale!».


Il papà di Goffredo Parise, scrittore
«Severo, di poche parole, alto e magro, mio padre con la sua presenza fisica ha influito su di me trasmettendomi la capacità di non scompormi mai!».


Il papà di Giovanni Spadolini, politico
«Il suo amore per i libri e la biblioteca fornitissima in cui passava le giornate hanno avuto un'importanza decisiva nella mia formazione. Era un uomo di grande probità morale e di grande dedizione al lavoro. Nel 1942 e 1943 salvò molti beni di Israeliti. E non solo beni. Nel 1944 rimase ucciso sotto i bombardamenti mentre soccorreva i feriti».


Il papà di Francesca D'Acquino, attrice
«Non potrò mai dimenticare mio padre: se penso al passato, vedo soltanto lui. È stato un uomo che ha sofferto moltissimo. Ha sopportato tredici anni di malattia prima di spegnersi. Una lunga agonia. Era una persona stupenda, eccezionale. Quando studiavo all'Accademia d'arte drammatica a Roma, mi veniva sempre a prendere la sera tardi o mi aspettava alla fermata dell'autobus e, una volta a casa, anche se erano le due di notte, mi preparava la cena. Da mio padre ho imparato tanto: gli vorrò sempre bene».


Il papà di Claudio, diciannove anni
«Mio padre è stato bocciato una volta alle Medie e a scuola non era uno dei migliori. Ora, con tutto quello che ha dovuto affrontare nel lavoro, si è come illuminato. Lui è sempre lì a correggerti, ad aiutarti. Quando stai facendo un lavoro, lui ti mostra sempre un'altra possibilità di fare quella cosa. In famiglia è come una fonte di salvezza».


Il papà di Flavio Insinna, attore
«Molto severo, ma di grandissimo cuore. Un esempio da seguire nella vita di tutti i giorni. È stato il medico degli ultimi, dei più disperati, dei malati di mente, dei tossicodipendenti, dei diversamente abili. Mi ha insegnato che nella vita ci vogliono sempre generosità e la voglia di tendere la mano a chi ne ha bisogno».


Eccoli i nostri meravigliosi papà: che cosa aspetta l'Unesco a dichiararli "Patrimonio dell'Umanità"?

HANNO DETTO
• "Credo che i padri non si rendano conto di quanto i ragazzi hanno bisogno di loro" (Alessandro D'Avenia, insegnante-scrittore).
• "Oggi ne sappiamo quanto basta per comprendere che il bambino per evolversi in modo armonioso, deve poter interagire con entrambi i genitori" (Norberto Galli, pedagogista).
• "Se non rivalutiamo con equilibrio tutte e due le figure dei genitori faremo poca strada" (Antonio Miotto, psicologo).
• "È difficile pensare a Dio padre se non si è fatta l'esperienza di un padre terrestre affettuoso e provvidente" (André Godin, pedagogista).
• "I vostri figli vogliono qualcuno da rispettare! Forse non hanno il coraggio di dirvelo, ma non c'è dubbio su quello che pensano: 'Comportatevi da genitori, non da coetanei!'" (Charles Galea, pedagogista americano).
• "Le parole che un padre dice ai figli nell'intimità della casa, nessun estraneo al momento le sente, ma alla fine la loro eco raggiungerà i posteri" (J.P. Richter, scrittore tedesco).

I PROVERBI DEL PAPÀ
• In casa non c'è pace se la gallina canta e il gallo tace.
• Come canta l'abate, così risponde il frate.
• Il leopardo non perde le chiazze del padre (dal Marocco).
• Se il padre fa carnevale, ai figli tocca fare quaresima.
• Marito innamorato sa fare anche il bucato.
• Chi vuole essere capo deve fare da ponte (dall'Inghilterra).
• Prima di dirigere l'orchestra, bisogna conoscere la musica.
• Albero carico di frutti si china verso tutti.
• I passi del padre fanno l'andatura del figlio.


MEGLIO PADRE CHE GENERALE!
Douglas MacArthur era un generale americano duro, dalla tempra d'acciaio. Sorprese tutti quando si scoprì che un giorno aveva scritto: "Per professione io faccio il soldato e ne sono orgoglioso. Ma sono infinitamente più orgoglioso d'essere padre. Un soldato distrugge per poter costruire. Il padre costruisce sempre senza distruggere mai. Uno ha la potenzialità della morte, l'altro incarna la creazione e la vita. La mia speranza è che mio figlio, quando me ne sarò andato, mi ricordi non in battaglia, ma in casa, mentre recito con lui la mia preghiera quotidiana".


Autore: Pino Pellegrino
Fonte: Bollettino Salesiano marzo 2015


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mercoledì 18 marzo 2015

Perchè è difficile, ma importante, dare regole?

PERCHE' E' DIFFICILE, MA IMPORTANTE,
 DARE REGOLE?
Molti genitori si trovano in difficoltà nel dare delle regole ai propri figli, ecco alcune indicazioni per essere più efficaci a dire "no".
 
Oggi c’è un grande investimento affettivo sulla famiglia e il bambino, e sia mamma che papà fanno fatica ad utilizzare un codice educativo come se la parte del “cattivo” non volesse farla nessuno. In realtà i nostri figli per crescere sani e felici hanno bisogno di amore ma anche di educazione: non si è genitori se non si educa ed è un compito che non si può delegare a terzi.

Educare e amare sono quasi sinonimi nella crescita di un figlio, soprattutto educare è sinonimo di condurre ad essere... autonomi, a poter correre in libertà nelle strade tortuose della vita dotati di solide gambe a sorreggere.
Dunque non è importante se sia il padre o la madre a proporre al bambino un codice educativo, ma che entrambi lo condividano e si mostrino solidali di fronte al bambino/a.


Ma esistono delle ricette preconfezionate per dare regole ai figli?
Purtroppo no, non esistono regole uguali per tutti, esistono regole della vostra storia con i vostri figli.
E’ bene ricordare inoltre che le norme vanno prima condivise, cioè nel caso dei bambini piccoli enunciate.
Sapere che esiste una regola chiara e comprensibile, una regola che un bambino di 2, 3 anni è in grado di comprendere e di ricordare, consente anche di applicare delle sanzioni nel caso in cui il bambino decida di trasgredire la regola.
Spesso i genitori dei bambini più piccoli chiedono come fare con i No che i bambini sembrano non voler capire, per esempio “non tirare fuori le pentole dai cassetti”, relativo ai bambini di poco più di 1 anno. In questi casi il No risponde a un bisogno dell'adulto e non del bambino, il quale fa giustamente il suo lavoro, quello di esplorare e conoscere.
Si può solo portare pazienza sapendo che quel no andrà ripetuto centinaia di volte finché il bambino possa farsene una ragione, certamente la cosa migliore è offrire un'alternativa ludica parimenti interessante.
Insomma non esistono regole uguali per tutti né ricette che aiutino in questo i genitori, esiste però per tutti i bambini un diritto all'ascolto dei propri bisogni e risposte personalizzate alla propria relazione familiare; esiste per tutti i bambini il diritto a sentire che dei genitori responsabili sanno dire di No per proteggerlo e aiutarlo a strutturare una psiche sana a forte di fronte alle frustrazioni della vita.

Dire di no quindi è importante perché:
  1. le regole danno sicurezza e contenimento;
  2. le regole esterne diventano regole interne;
  3. i no permettono di sperimentare e abituarsi a gestire la frustrazione;
  4. non è possibile avere tutto e subito: saper aspettare/rinunciare/guadagnarsi;
  5. i no danno valore e significato ai sì;
  6. il limite aiuta a scoprire che c’è un altro al di fuori di me.
Come posso migliorarmi?
  1. È importante riconoscere l’importanza di uno stile genitoriale “autorevole”, che dia la possibilità al bambino di assumere un ruolo attivo e partecipe nel prendere decisioni, in modo da favorire lo sviluppo della sua capacità decisionale e della sua autonomia.
  2. Le convinzioni e le credenze riguardanti il senso dell’auto-efficacia nel genitore sono un aspetto centrale che condiziona il modo di affrontare le difficoltà e i comportamenti provocatori. La percezione che un genitore ha della propria efficacia nel saper affrontare e fronteggiare comportamenti problematici è particolarmente importante. Le emozioni infatti influenzano la cognizione della nostra stima; è utile preservare stima in sé in quanto genitori perché ciò infonde sicurezza nell’adulto ma anche nel bambino, che può sentirsi così contenuto.
  3. Può capitare di eccedere nelle nostre reazioni perché esasperati dalla situazione, non è un dramma, ma non deve essere la costanza del nostro metodo educativo: è importante che il bambino sappia e senta che i genitori gli vogliono bene anche quando “fa il cattivo”. Così il bambino capisce che “quegli aspetti negativi di sé, di cui lui stesso ha paura, e che a volte lo travolgono, non sono tutto, bensì sono solo una piccola parte della sua personalità. “(Silvia Vegetti Finzi)
Ma qual è, secondo voi, la modalità più efficace per comunicare regole e limiti?

Autrice: Elisa Oliva
Fonte: www.psicologo-milano.it

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venerdì 13 marzo 2015

I trucchi del buon educatore

I TRUCCHI DEL BUON EDUCATORE
L’arte di educare conosce alcune strategie, alcune ‘astuzie’ pedagogiche sagge e valide


Secondo il nostro stile che non ama i gargarismi, ecco subito qualche esempio.
Uno dei più diffusi tormentoni delle mamme italiane è riuscire a far mangiare il bambino.
Ebbene, vogliamo che mangi? Non supplichiamolo perché mangi! Pratichiamo, cioè, la strategia dell’indifferenza.
Insistere tanto sul mangiare significa mettere in mano al piccolo un’arma con cui ricattarci, un’arma che il bambino saprà usare in tutti i modi, pur di attirare su di sé la nostra attenzione.
Mostrandoci indifferenti, invece, siamo noi a tenere la situazione in mano.
“Non mangi? Va bene lo stesso! Mangerai quando avrai fame!”.
Calme, mamme! Nessun pericolo che il bimbo muoia di fame! Garantito! All’istinto della fame non si può resistere!
Fino a questo momento, nessun bambino al mondo, avendo del cibo a disposizione, è morto di fame! Quando avrà fame, il bambino mangerà!

Vogliamo far arrivare qualche messaggio al figlio adolescente?
Pratichiamo la strategia del metodo indiretto.
Tutti sappiamo che gli adolescenti fanno cortocircuito con il metodo frontale che li prende di mira in modo diretto (il maledetto metodo della ‘predica’!).
Dunque, se vogliamo dire qualcosa al ragazzo (e qualcosa dobbiamo pur dirgli, per non essere genitori puramente ‘allevatori’ ma anche ‘educatori’!), parliamogli senza chiamarlo direttamente in causa.
Esempio: siamo a tavola, parliamo tra noi, madre e padre, sul programma televisivo visto ieri sera e diamo il nostro giudizio negativo sulle parolacce, sulla violenza, sul sesso sfacciato… Il figlio, mentre continua a mangiare la pastasciutta, sente e viene a conoscere qual è il nostro quadro valoriale che, forse, non collima con quello degli insegnanti e degli amici. In tal modo abbiamo parlato al figlio, senza suscitare la reazione tipica dell’adolescente!

Molto vicina alla strategia del metodo indiretto è la strategia della chiacchierata informale.
Siamo in piazza e stiamo parlando del più e del meno con un gruppo di conoscenti ed amici.
Ad un tratto il figlio, che ha scorazzato di qua e di là, si avvicina e sente (meglio:ascolta!) le nostre opinioni sulla politica, sulla religione, sulla società d’oggi...è incredibile l’influsso che possono avere sull’animo del figlio le nostre parole dette spontaneamente, senza filtro!
Ha tutte le ragioni il semiologo e scrittore Umberto Eco a dire “credo che si diventi quello che ci ha insegnato nostro padre nei momenti morti mentre non si preoccupava di educarci”.

Altro esempio di strategia pedagogica è quella della reazione morbida.
Il bambino strepita? La madre gli risponde con tutta calma (facile dirlo!):“Non capisco niente! Se non abbassi la voce, le mie orecchie sono sorde”.
Il bambino fa capricci? La madre resta tranquilla (anche qui, facile a dirlo!), continua a stirare calma e serena, tutt’al più una carezza sul capo.
Questa è la strategia della reazione morbida.
Dicono che, sovente, funzioni; certo è una strategia intelligente: rispondere al capriccio del bambino con una nostra escandescenza è come voler spegnere il fuoco, versandovi sopra benzina!

Attenti ai tempi morti
Forse educhiamo quando meno pensiamo di educare.
Subito la prova: il padre incontra per strada un bisognoso che chiede aiuto: gli posa due euro sulla mano tesa, mentre il figlio vede; la madre è in chiesa: prega in silenzio, concentrata, intanto il figlio osserva.
Ecco due esempi di splendida educazione non direttamente voluta, educazione che supera di gran lunga quella realizzata con una valanga di parole sull’amore del prossimo e sulla fede in Dio.
Rientrano anche nella strategia dei ‘tempi morti’ le parole che lasciamo cadere senza preavviso, come la cosa per noi più naturale del mondo. Mentre siamo a tavola, il papà, ad un tratto, dice: “Le parolacce sono come il raglio dell’asino nel bel mezzo di un concerto!”. La madre, vedendo la reclame di un parrucchiere, esclama: “Non basta avere i capelli in ordine, bisogna anche avere le idee ordinate”…
Parlare in questo modo non offende nessuno, neanche il figlio adolescente sempre (e giustamente!) così allergico alle ‘prediche’.
Non solo, ma le parole dette senza preavviso, sovente hanno un fortissimo impatto sul figlio perché rivelano i nostri pensieri più intimi, le nostre opinioni, i nostri Valori che ci portiamo dentro.
Mi ha sempre colpito la confessione del professore Leo Buscaglia il quale rivela che si è costruito la sua morale sulle parole che il padre lasciava cadere a tavola, durante la cena.

Questo dico al figlio
“Se stai solamente con chi la pensa come te, tanto vale vivere con i pappagalli!”.
“Non lasciarti imbottigliare dal vino!”.
“E' meglio mostrare la testa che l’ombelico”.
“Chi vince gli altri è muscoloso. Chi vince se stesso è forte”.
“Non c’è niente d’intelligente ad esser triste”.
“Non curarti dei commenti, se in regola ti senti”.
“Grinta e coraggio ci mantengono in vantaggio”.
“Dove entra il bere, esce il sapere”.

Che ne dite?
“Se i genitori riuscissero soltanto a capire quanto annoiano i figli!” (Bernard Shaw).
“A 27 anni al massimo, buttateli fuori di casa, come ho fatto io. Un giorno vi ringrazieranno” (Maria Luisa De Rita).
“Un sorriso al bambino è meglio del pannolino ben sistemato” (Benjamin Spock).
“A volte curo la madre ed il bambino guarisce” (Marcello Bernardi).
“Come terapia indico dieci chilometri di bicicletta assieme al padre, ogni domenica. Il tempo con il padre è una cosa fondamentale!” (Giovanni Bollea).

Autore: Pino Pellegrino
Fonte: Bollettino Salesiano gennaio 2013

 

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mercoledì 11 marzo 2015

Frasi da non dire mai ad un bambino

FRASI DA NON DIRE MAI AD UN BAMBINO
Parole dette senza pensare, che ci sembrano banali, oppure che ci sono uscite in un momento di stanchezza o di rabbia possono offendere i nostri figli. Ecco le 9 frasi più comuni che è meglio non dire a un bambino. Tratto da un articolo di parenting.com

A tutti noi genitori stanchi e sempre di fretta può capitare di rivolgerci ai nostri figli con frasi sbagliate, che possono lasciare i nostri piccoli feriti e arrabbiati. Paula Spencer, blogger del sito americano parenting.com, ha stilato un elenco delle 9 cose che è meglio evitare di dire ai bambini e con quali frasi sostituirle.

1 Lasciami in pace!
E' più che lecito che un genitore si prenda una pausa dai figli. Ma dire troppo spesso a un piccolo frasi come: "Lasciami in pace", "non disturbarmi", "sono occupata"... si rischia di far interiorizzare al bambino il messaggio che voi non avete mai tempo per lui.
In questo modo sarà difficile che quando sarà grande abbia un dialogo con voi e vi racconti i suoi problemi da adolescente.
Bisognerebbe, invece, abituarli fin da piccoli che i genitori hanno bisogno di un tempo per sé. Lasciateli qualche volta con una baby sitter, con una nonna o da un amico, e prendetevi un po' di spazio. Quando tornerete da loro sarete più disponibili.
E quando siete stressate e dovete fare qualcosa di corsa, preparatevi in anticipo delle frasi da dire ai vostri figli. Ad esempio potete dire: "La mamma deve finire una cosa importante, state tranquilli a disegnare per qualche minuto, appena ho finito vi porto fuori".
Ovviamente siate realistiche: difficilmente un bambino di età prescolare potrà intrattenersi un'ora da solo...

2 Tu sei così...
Le etichette, soprattutto se negative, rimangono appiccicate ai bambini e si trasformano in profezie che si autoavverano "Perché sei sempre così... timido"? "Perché sei così scema...". Alla fine un piccolo si sente davvero stuipido e inizierà a comportarsi di conseguenza.
Ma anche l'etichetta di "intelligente" rischia di trasformarsi in un'aspettativa difficile da sopportare per un bambino piccolo.
Un approccio di gran lunga migliore è quello di affrontare il comportamento specifico ed evitare gli aggettivi sulla sua personalità. "Hai sbagliato a trattare male la tua amica. Vediamo insieme come si può rimediare..."

3 Non piangere
Dire frasi come: "Non essere triste"; "Non fare il bambino"; " Non c'è motivo di avere paura"... Ma i bambini piccoli che ancora non riescono a dire a parole quello che provano è normale che piangano, così come è normale che abbiano delle paure. Dirgli che non devono piangere o non c'è motivo di essere tristi, significa mandargli il messaggio che le loro emozioni non sono valide. E che non è un bene essere tristi o spaventati.
Piuttosto che negare le emozioni di un bambino, è molto meglio dimostrargli di riconoscere quello che prova, ad es: "Devi essere molto triste perché lui non vuole essere più tuo amico". "E' normale che tu abbia paura delle onde, ma io ti starò vicino e ti terrò per mano e vedrai che non ci sarà nessun percolo".
Nominate le emozioni che prova vostro figlio, imparerà a gestirle e a non farsi travolgere. E la prossima volta anziché piangere descriverà con parole sue cosa sta provando.

4 Perché non sei come tua sorella?
A volte viene naturale prendere un fratello d'esempio: “Tua sorella alla tua età si vestiva già da sola...”. Ma i paragoni si possono ritorcere contro. Inoltre ogni bambino è diverso dall'altro.
Lasciate che ognuno si sviluppi secondo il proprio ritmo, il proprio temperamento e la sua personalità. Paragonarlo sempre agli altri, potrebbe far sembrare a vostro figlio che voi lo avreste desiderato diverso.
Inoltre i confronti continui non aiutano a migliorare i comportamenti. Sentirsi sempre sotto pressione per qualcosa che non è pronto a fare o che non gli piace fare può essere fonte di confusione e stress e può minare la sua autostima
Oppure potrebbe risentirsi e non fare ciò che gli chiedete per ripicca e iniziare così un braccio di ferro che non porta da nessuna parte. Meglio invece incoraggiare i successi e portare ad esempio ciò che riesce a fare: “Bravo, ti sei infilato il cappotto da solo!”...

5 Dai che lo sai fare benissimo!
Come i confronti, le frecciatine ai figli possono fare più male di quello che un genitore immagina. Imparare è un percorso fatto di prove ed errori. Davvero pensate che vostro figlio sia capace di versarsi l'acqua da quella brocca così pesante? Se non se la sente non insistite, casomai provate insieme a vedere come fare. Magari riempite la brocca con meno acqua così non avrà paura di non riuscire a versarla.
E se sbaglia evitate un commento negativo: non sarà né produttivo né d'aiuto.
Da evitare anche frasi come: “Non posso credere che l'hai fatto!” “Era ora!” . Non sembrano frasi terribili, ma non vogliono dire niente e il messaggio che un piccolo potrebbe ricevere è “tu non fai

6 Smettila o te le do!
Le minacce sono il risultato di genitori frustrati e raramente sono efficaci. A volte ci troviamo a urlare avvertimenti come: “ Se lo fai ancora ti sculaccio!”. Il problema è che poi dovete dare seguito alle minacce, altrimenti perderete il vostro potere. E ormai è provato che sculacciare non migliora il comportamento.
E' molto più efficace sviluppare un repertorio di tattiche costruttive: siate autorevoli e calmi, spiegategli che non va bene comportarsi così, che capite le sue motivazioni ma ora non è il momento di avere l'ennesimo biscotto. In alternativa proponetegli di leggere un libro assieme.

7 Aspetta quando papà torna a casa!
Questa frase molto usata è solo un altro tipo di minaccia. Inoltre si rinvia il problema in un secondo momento. Mentre davanti a un capriccio bisogna intervenire subito. Se si rinvia l'intervento del genitore, il piccolo rischia di non collegarlo con l'azione sbagliata da lui commessa. Quando l'altro genitore torna a casa è probabile che il bambino abbia dimenticato quello che ha fatto.
Inoltre passare la patata bollente a qualcun altro mina anche la vostra autorità. Vostro figlio potrebbe pensare: “Perché devo ascoltare la mamma se poi tanto lei non fa nulla?”.
Infine si mette il vostro partner nella posizione del cattivo poliziotto.


8 Sbrigati!
Viviamo in un tempo fitto di appuntamenti, orari, mancanza di sonno, traffico e siamo sempre di corsa. E quando un bimbo, ignaro del ritmo frenetico, non trova le sue scarpe, non vuole infilarsi la giacca, noi perdiamo la pazienza e finiamo per urlargli di muoversi.
Quando noi siamo così di fretta i bambini si sentono in colpa. Questo sentimento li fa stare male, ma non li motiva a fare più veloce.
"Alla mattina a casa mia c'è un tale nervosismo, e l'ultima immagine che hanno di me i miei figli è la mia faccia arrabbiata. Così ho fatto un patto con me stesso, qualsiasi cosa accada alla mattina: il latte rovesciato sui vestiti puliti, la cartella non ancora pronta... devo mantenere la calma e sforzarmi di trovare modi gentili per accellerare" racconta Paul Coleman, terapeuta famigliare.

9 Bravissimo! Sei un genio! Il rinforzo positivo, dopo tutto, è uno degli strumenti più efficaci che un genitore ha.
Il problema arriva quando la lode è vaga e indiscriminato. Dire frasi come:"Ottimo lavoro!" per ogni piccola cosa che il vostro bambino fa, alla fine lo svuota di significato.
I bambini capiscono benissimo quando la lode è meccanica.
Quindi meglio evitare elogi indiscriminati. Lodate solo i risultati che vengono da sforzi reali. Per esempio, finire un bicchiere di latte non è un traguardo eccezionale.
Siate specifici. E' inutile dire: “Bellissimo il tuo disegno” a tutte le decine di disegni che vostro figlio fa ogni giorno. Meglio commentare dicendo: “Bravo, vedo che hai disegnato l'albero con tanti rami e hai fatto le foglie verdi...”
E lodate il comportamento piuttosto che il bambino: “Sono contenta perché sei stato tranquillo a fare il puzzle mentre io finivo di cucinare, proprio come ti avevo chiesto...”

Fonte: www.nostrofiglio.it

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dalla parte dei bambini, SEMPRE