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venerdì 29 maggio 2015

Cellulare in classe? No, grazie.

CELLULARE IN CLASSE? NO, GRAZIE.

Lo studio: bandirli dalle aule ha l’effetto di un’ora in più di lezione alla settimana. E il fenomeno è più marcato per gli studenti più poveri o con voti più bassi

Cellulare a scuola, sì o no? Alcuni genitori non ci dormono la notte, mettono paletti, trattano con i figli le regole da seguire. Adesso una risposta arriva dagli economisti: se volete che i vostri ragazzi abbiano risultati scolastici migliori, lo smartphone deve rimanere a casa. Bandire il cellulare dalle aule ha un effetto che un centro di ricerca inglese ha misurato: vale quanto una settimana in più di lezione. Lo sostengono Louis-Philippe Beland and Richard Murphy, in un lavoro pubblicato dal «centro per le performance economiche» della London School of Economics, di cui dà conto il Guardian. Lo studio conclude che «nelle scuole in cui il telefonino è bandito, i voti sono più alti». Un fenomeno ancora più marcato per gli studenti più poveri o con voti più bassi.
Una settimana in più
I ricercatori hanno esaminato le performance di 91 scuole superiori di quattro città inglesi, confrontando i registri degli esami e le politiche sui cellulari tra il 2001 e il 2013. In generale i voti nelle classi in cui smartphone e gadget digitali erano banditi, i punteggi dei test miglioravano del 6,41% in media: un valore equivalente a «un aumento della probabilità di passare gli esami finali del 2%», scrivono gli autori. «È lo stesso effetto - spiega uno di loro, Richard Murphy - che si avrebbe con un’ora in più a settimana, o aggiungendo una settimana in più all’anno scolastico».

Risultati migliori
Per gli studenti con voti più bassi, scrivono gli autori, l’aumento dei punteggi e della probabilità di successo agli esami è doppio rispetto alla media, ed è ancora maggiore per gli studenti con bisogni educativi speciali e per quelli più poveri, mentre tende ad annullarsi per i più bravi.

Tecnologia che distrae
Tecnologie che «fanno tante cose diverse», sostengono i ricercatori, hanno un effetto negativo sulla produttività degli studenti. Il multitasking distrae. Non avere lo schermo costantemente sott’occhio, la possibilità di giocherellare sotto il banco, o anche solo la vibrazione del messaggio in arrivo, consent e di concentrarsi di più, con benefici immediati sui risultati.

I divieti
La ricerca non arriva a sostenere che i cellulari siano dannosi. E non nega che, se correttamente utilizzati, possano essere un efficace aiuto per lo studio. Ma in Paesi come la Gran Bretagna, dove oltre il 90 per cento degli adolescenti possiede uno smartphone, il dibattito si è fatto acceso e sono sempre più numerosi i dirigenti scolastici che obbligano i ragazzi a consegnare il telefonino, a inizio giornata o durante le verifiche. In Italia? La regola c’è: l’uso del cellulare a scuola è vietato. Lo ha disposto il ministro dell’Istruzione con una direttiva (15 marzo 2007), che impegna tutte le scuole a regolamentarne l’uso, con esplicito divieto durante le lezioni. Ma norme e regole possono essere di difficile applicazione. Anche i prof, d’altronde, spesso «dimenticano» di spegnere il cellulare in classe: il divieto (e da ben prima, scritto in una circolare del ‘98), vale anche per loro.

«Scendere a patti»
Ma adesso che, nonostante i divieti, l’uso improprio del telefonino nelle aule è diventato consuetudine, come fare marcia indietro? «Difficile, fa ormai parte della vita emotiva e affettiva dei ragazzi - dice Federico Bianchi di Castelbianco, psicoterapeuta dell’età evolutiva, che con gli studenti ha un canale di ascolto privilegiato -. Ha sostituito il vecchio bigliettino che usavamo noi adulti per comunicare in classe». È importate, dice, «scendere a patti con i ragazzi, stabilire le finestre in cui possono usarlo e i momenti in cui assolutamente no. Se non stanno alle regole va bene tutto: la nota sul registro, il sequestro». E poi non nascondiamoci dietro a un dito: siamo noi genitori che abbiamo aderito al fatto che i ragazzi portino il cellulare in classe, fin dalle elementari, per poter parlare con loro quando vogliamo. Ma quando sono a scuola, la responsabilità passa ad altri e se voglio parlare con mio figlio mi rivolgo a chi in quel momento lo ha nel suo controllo». «C’è stata confusione - continua lo psicologo - tra l’uso del mondo Internet per essere maggiormente informati e l’attaccarsi al web per “staccarsi dalle lezioni”. 
Lasciamo fare, magari per una forma reverenziale nei confronti dei giovani che sanno usare le tecnologie meglio di noi. E loro crescono senza neppure essere consapevoli che è maleducazione». La conseguenza, certo, è che distraibilità e mancata partecipazione sono sempre in agguato. «I ricercatori hanno fatto il conto in una settimana di scuola “persa”? Hanno stimato al ribasso - dice - il tempo buttato è sicuramente molto di più».

Autrice: Antonella De Gregorio
Fonte: www.corriere.it

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