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venerdì 28 novembre 2014

L'arte di educare: Parlare

5 - PARLARE

Siamo alla quinta mossa fondamentale nell'arte dell'educazione: la mossa del parlare.
È vero che l'esempio è tuono, mentre la parola è suono, però senza il suono della parola, neppure l'esempio avrebbe la potenza del tuono, perché non sarebbe capito!

La parola è fondamentale per tre motivi.
Primo: perché è grazie ad essa che aiutiamo il bambino a costruirsi la prima immagine di sé.
Se diciamo al piccolo: '
Sei meraviglioso!', il bambino penserà d'essere tale.
Se gli diciamo: '
Non sei capace a far niente!', il bambino si convincerà d'essere un buono a nulla.
Una volta il professor Leo Buscaglia volle fare un esperimento con i suoi studenti universitari d'America.
Li invitò a buttare drasticamente nel cestino della cartastraccia tutte le parole tristi, negative, invalidanti, per sostituirle esclusivamente con parole positive, dolci, serene, rassicuranti.
Accaddero cose fantastiche: l'atmosfera dell'ambiente cambiò in modo radicale. Persino studiare divenne simpatico!
Secondo: la parola è fondamentale perché sono le parole che trasmettono pensieri, sentimenti, valori.
Vi è un abisso tra un ragazzo che sente sempre e solo '
mangiare', 'bere', 'vestire' e quello che sente anche 'dovere', 'rinuncia', 'amore', 'giustizia', 'Dio'.
Il primo penserà che nella vita basti diventare 'grosso' il secondo si sentirà stimolato a diventare anche 'grande'.
Il famoso scrittore bulgaro Elias Canetti, premio Nobel (1981) ammetteva d'essere stato '
costruito' dalle parole della madre, donna colta ed orgogliosa. Rimasto orfano di padre in tenera età, ricorda le serate che passava con la mamma a leggere e a parlare e conclude: "Io sono fatto di quei discorsi".
Terzo: finalmente, le parole sono fondamentali nell'arte di educare perché possono convincere.
Le armi vincono, le parole convincono!
Ebbene, qui tocchiamo il cuore stesso dell'educazione.
Educare non è comandare, non è castigare (anche se i comandi ed i castighi ci vogliono, eccome!) educare è far succedere fatti interiori: è persuadere, è convincere.
Datemi un ragazzo che sia davvero convinto che drogarsi è suicidarsi, un ragazzo convinto che dove entra il bere, esce il sapere..., e mi date un ragazzo che saprà tenere il suo giusto posto anche in discoteca e al pub.
Sì, a conti fatti, l'educazione è parola condivisa.

I CINQUE COMANDAMENTI DELLE PAROLE DETTE BENE
1. Prima di parlare controlla che il cervello sia inserito.
2. Quando parli pensa all'insalata: l'insalata è buona se ha più olio che aceto.
3. Non dire sempre tutto quello che pensi, ma pensa sempre a quello che dici.
4. Ricorda che la scienza sta ancora cercando una medicina più efficace delle parole buone.
5. Se predichi acqua, non bere vino!

PAROLE DA DIRE MAI!
• "Guarda come è bravo tuo fratello! Lui mangia gli spinaci e tu no!".
• "Ci togliamo il pane di bocca per te, e tu ci ripaghi in questo modo!".
• "Se fai così, ci fai morire!".
• "Ai miei tempi...!".
• "Ah, come si sta bene senza figli!".
• "Ma che figlio abbiamo!".
• "Sei un disastro!".
• "Tanto sei sempre lo stesso!".
• "Se lo fai ancora, non ti voglio più bene...".
Queste sono frasi da mai dire: urtano, spaventano, fanno sentire il figlio colpevole d'esser nato, lo possono far cadere in depressione, gli possono provocare sentimenti di odio contro i genitori.
Queste sono frasi che possono uccidere più che le camere a gas!
Mai come in questo caso è indovinato il proverbio africano: "Quando inciampa la lingua, è peggio che il piede".

PAROLE DI QUALITÀ
• "È bello avere un figlio come te!".
• "Tu sei speciale per me!".
• "Sono felice di averti!".
• "La tua faccia è il più bel panorama del mondo".
• "Tutto si può sostituire, eccetto te".
• "Sei tu che dai senso alla mia vita".
• "Anche se fossi il più brutto anatroccolo, ti amerei sempre con tutto il cuore che ho a disposizione".
• "Sono sempre abbracciabile per te".
Queste sono parole che mettono le ali al figlio, lo convincono d'avere mille possibilità, parole che gli danno la grinta per salire sul podio!

LE TRE PORTE
Un giorno il discepolo domandò al maestro: '
Maestro, quando si può parlare?'.
Il maestro rispose: '
Prima d'essere pronunciata, ogni parola deve passare attraverso tre porte'.
'
È vera?', chiede il portinaio della prima porta.
'
È necessaria?', domanda il guardiano della seconda.
'
È gentile?', indaga il guardiano della terza.
'
Verità, opportunità, gentilezza sono i requisiti della parola buona', concluse il maestro.

Autore: Pino Pellegrino

Fonte: Il Bollettino Salesiano giugno 2013

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mercoledì 26 novembre 2014

Storie con una morale: Io posso scegliere

IO POSSO SCEGLIERE

C’era un professore molto impegnato e severo, ma che era anche conosciuto dai suoi alunni come uomo giusto e comprensivo.

Alla fine dell’anno, terminato il corso, mentre stava sistemando delle carte sulla cattedra,gli si avvicinò un suo alunno e con atteggiamento di sfida gli disse:
“Professore, sono contento di aver finito il corso, così non dovrò più ascoltare le stupidaggini che lei dice e starò benissimo senza più essere obbligato a vedere la sua faccia, che detesto. L’alunno se ne stava impettito, con aria di sfida aspettandosi che il professore si arrabbiasse. Invece, con sua grande sorpresa, il professore gli rispose con queste parole:
“Se qualcuno ti offre qualcosa che tu non vuoi, la prendi ugualmente?”
“No di certo!” rispose sorpreso l’alunno.
Bene, continuò il professore, quando qualcuno cerca di offendermi o mi dice cose sgradevoli, mi sta offrendo qualcosa. Nel tuo caso si tratta di un’emozione di rabbia e di rancore che io posso benissimo decidere di non accettare.

Se mi sento offeso e mi arrabbio, significa che sto accettando il tuo regalo. Ma io preferisco regalarmi distensione e serenità. Amico, continuò il professore, la vita ci dà la possibilità di scegliere se amareggiarci oppure essere felici.
La tua rabbia passerà, ma non cercare di lasciarla con me, perché non mi interessa.
Ogni giorno, in ogni momento, tu puoi scegliere quali emozioni o sentimenti vuoi tenere dentro di te. E qualsiasi cosa tu scelga resterà dentro di te finché tu stesso non decidi di cambiarlo. Perché è talmente grande la libertà che la vita ci dà che abbiamo perfino la possibilità di scegliere se amareggiarci o essere felici.

Nei Proverbi, si legge: “La risposta amabile calma la rabbia, ma quella aggressiva aggiunge legna al fuoco”.

Non dimenticare che sei tu che decidi se accettare o no la critica distruttiva, l’offesa e la presa in giro.
Mantieni sempre il controllo delle tue emozioni, non conservare amarezza nel tuo cuore contro nessuno e rispondi sempre con gentilezza, così che dalla tua sorgente sgorghi sempre acqua dolce.

 
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venerdì 21 novembre 2014

L'arte di educare: Amare

4- AMARE

Continuiamo a presentare le mosse fondamentali della magnifica impresa che è l'educazione dei figli. Ormai siamo arrivati alla quarta mossa. 'Seminare' è la mossa di partenza; 'tifare' è la mossa che incoraggia a crescere; 'aspettare' è la disposizione all'attesa dei frutti, per non scardinare tutto in partenza; 'amare' è il plinto che regge tutto l'impianto educativo.

Dunque, amare il figlio!
Sembra la cosa più naturale del mondo, invece non lo è! Quanti errori si commettono credendo di far del bene!
Aveva ragione il famoso pediatra, che già conosciamo, Marcello Bernardi (1922-2001): "
Non è vero che i propri figli si amano perché sono i nostri. Si amano perché si impara ad amarli".
L'amore è un'arte, ci ricordava lo psichiatra tedesco Erich Fromm (1900-80) in un suo celebre libro: '
L'arte di amare' (1956).
Ebbene chi va a scuola per imparare tale arte, viene a conoscere tante cose.

La prima è la distinzione tra ciò che è amore e ciò che amore non è.
Vediamo.
Amare non è strafare
È saggio il proverbio che recita: "
La madre troppo valente fa la figlia buona a niente". Dunque, per essere subito concreti: volete fare qualcosa di più per i vostri figli?
Fate qualcosa di meno! Alcune indagini ci dicono che oggi sette ragazzi su dieci sono 'malati di troppo amore'!
Amare non è intronizzare il figlio
Ancora Erich Fromm avvertiva: "
Amare significa sostenere qualcuno, non cadere ai suoi piedi!".
Amare non è pensare che sia proibito proibire
Il permissivismo sta all'amore come l'aceto sta al vino, come la sabbia sta alla farina.
L'amore vero è robusto, esigente. Il padre che si impone al figlio: "
No, senza casco non vai in moto, per nessuna ragione!", a conti fatti, lo abbraccia!
Ma, insomma, che cos'è l'amore pedagogico?
Amare è accettare il figlio
È dargli la sensazione che si è contenti che ci sia, che sia così com'è è fargli percepire che la sua presenza non pesa, che lo si vuole fino in fondo, senza condizioni. In una parola, amare è dire al figlio: "
Tu conti tutto per noi!".
Amare è rinunciare al possesso
I figli sono come le navi: le navi non sono fatte per stare in porto, ma per prendere il largo. Applicando a noi, amare è tagliare, al più presto, il cordone ombelicale.
La cosa non è per niente facile.
Vi sono genitori che temono che il figlio cresca uomo. Lo vorrebbero eterno bambino per poter coccolarlo e vezzeggiarlo per tutta la vita.
Altri cadono nella tentazione del super protezionismo: "
Mettiti la maglia, togliti la maglia; sta' al sole, non stare al sole!; a Gennaio non si esce perché fa freddo, a Febbraio c'è il pericolo di raffreddarsi, a Marzo c'è il vento, ad Aprile il primo sole, a Maggio l'allergia"...
No, questo non è amore, questo è soffocamento, freno, incatenamento.
Amare è attrezzare il figlio
È attrezzarlo perché possa gestirsi da solo, camminare sulle proprie gambe, volare con le proprie ali.
Chi ama i fiori, non li calpesta, né li coglie per sé, ma li lascia crescere, liberi e belli, nei prati del mondo.
Amare è rendersi amabili
Se attrezzare il figlio perché sappia vivere da uomo è l'aspetto più alto dell'amore pedagogico, rendersi amabili è l'aspetto più simpatico.
Rendersi amabili, infatti, vuol dire renderci abbracciabili, accoglienti, solari.
Renderci amabili vuol dire dare una ripassatina al nostro carattere forse attaccabrighe, tortuoso, diffidente, acido, freddo, variabile, per rivestirsi di un 'io' festivo, colloquiale, vibratile e tenero, attento e generoso.
Una persona tutta amabile educa anche senza saperlo, anche senza volerlo. Contagia, irradia fattori di crescita. Insomma, ama nel senso più puro e più alto.
Ecco il vero amore pedagogico!
Se è così, l'augurio più indovinato che possiamo fare ad un bambino non è quello di essere il più bello, il più ricco, il più famoso, ma di essere il più amato. Nel modo giusto!
Allora - solo allora! - ringrazierà d'esser nato.

PRENDO NOTA
• Con l'amore non si gioca. Con l'amore si vive e si fa vivere.
• Non c'è cura senza cuore.
• '
Accorgersi' è una gran bella parola: significa 'far salire al cuore'. Il bambino sopporta tutto, tranne una cosa: l'indifferenza.
• Se manca l'amore, la casa diventa uno spogliatoio per cambiare gli abiti, un dormitorio per andare a dormire, una trattoria ove si mangia brontolando e si esce senza pagare il conto.
• I bisogni del bambino hanno nomi semplici: pane, casa, vestiti e coccole.
• L'educatore indifferente non dà mai niente.
• Una parola calda riscalda tre stagioni fredde.

IL COLLO DELLA BOTTIGLIA
"La maggioranza degli alcolizzati si attacca al collo della bottiglia perché, da piccoli, non hanno potuto attaccarsi al collo della mamma" (
Riflessione di un medico psicologo).

Alla fidanzata
Il poeta cileno Pablo Neruda (1904-73) così scriveva alla fidanzata: "
Vorrei fare di te quello che fa la primavera con i ciliegi. Vorrei farti fiorire!".
Questo è amore pedagogico allo stato puro!
Amare il figlio è aiutarlo a fiorire!

Autore: Pino Pellegrino

Fonte: Il Bollettino Salesiano maggio 2013

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mercoledì 19 novembre 2014

C'è molta differenza tra ESSERE e AVERE

ESSERE O AVERE?


C’è molta diversità tra l’avere una vita ed essere in vita, vivi.

C’è molta diversità tra l’avere un uomo o una donna oppure l’essere di una donna o un uomo. L’avere è il possesso, il trattenere e il disporre per sé. L’essere di ci richiama il dono, l’appartenenza, la responsabilità.

C’è molta diversità tra il fare il maestro, il medico, il prete e l’essere un maestro, un medico, un prete. Nel primo caso è solo un ruolo, un insieme di mansioni da eseguire. Nel secondo caso si è coinvolti, dentro, è la propria vita.

C’è molta differenza tra fare finta di piacersi ed essere se stessi. Nel primo caso ci sono molti sorrisi, molte buone maniere, tante gentilezze, ma il volto rimane cupo, l’espressione non è vitale; sorridono le labbra ma non gli occhi. Chi, invece, è se stesso è libero, emana un’aura di vita, di creatività, di positività. Chi è se stesso, felice di sé, non attacca gli altri, non li sminuzza e non li infanga. Chi è se stesso fa la propria strada e invita gli altri a fare altrettanto; è contento di esistere e di essere a questo mondo e proprio per questo vuole che tutti possano esistere e dispiegarsi.

C’è molta differenza tra fare educazione ed educare. Fare educazione vuol dire trasmettere buone maniere, regole precise, buon comportamento, galateo, rispetto. Educare vuol dire costruire degli uomini vivi, veri, liberi, autonomi.

C’è molta differenza tra lo sguardo che vuole avere e lo sguardo dell’essere. Lo sguardo dell’avere brama, conquista, invidia, vorrebbe per sé, possiede. Lo sguardo dell’essere vede ma non conquista, gioisce, si stupisce, si commuove, fa entrare dentro di sé ma non vuol per sé.

C’è molta differenza tra chi vuole “avere ragione” e chi cerca la ragione. Nel primo caso ciò che conta è aver ragione, nel secondo trovare la verità.

C’è molta differenza tra voler essere qualcuno, grandi importanti e sentirsi importanti, sentire di aver un valore in sé, sentire di essere qualcuno per il solo fatto di esserci e di esistere.

La differenza tra gli uomini non è per quello che hanno ma per ciò che sono. L’essere sarà la nostra felicità perché è l’accettazione; l’avere la nostra continua insoddisfazione perché è una rincorsa infinita ed affannosa.

L’essere è sempre interno: c’è qualcosa in me che mi può fare felice. L’avere è sempre esterno: c’è qualcosa fuori di noi che ci fa felici.

Non è quello che hai la tua felicità, ma quello che sei”. Per avere bisogna combattere, darsi da fare, eliminare gli altri, essere superiori, confrontarsi, vincere, arrivare primi. E’ terribile, è un’ansia tremenda, è un gioco al massacro!

Molti uomini credono che per essere bisogna avere (e così accumulano a dismisura). Ma la realtà è che per avere bisogna essere.

Quando andremo di là, dal Gran Capo, non ci chiederà “Quanto avevi?”, ma “Chi sei stato?”.


Autrice: Maria Gastone Tagliagambe

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venerdì 14 novembre 2014

L'arte di educare: Aspettare

3- ASPETTARE

Siamo alla terza mossa dell'arte di educare: 'seminare' è la mossa di partenza; 'tifare' è la mossa che incoraggia a crescere; 'aspettare' è la disposizione all'attesa dei frutti nel figlio per non scardinare tutto in partenza.
Ecco perché il verbo '
aspettare' entra di diritto nel vocabolario pedagogico.
Eppure, oggi, '
aspettare' è un verbo che proprio non piace.
La velocità, la corsa ci sono entrate nelle vene.
Lavoriamo, mangiamo, guadagniamo e spendiamo talmente di corsa che tutto ci scorre addosso senza sapore, senza lasciare traccia.
Il guaio è che l'ossessione della velocità la riversiamo anche sui nostri bambini.
A tre anni devono leggere, a quattro ballare, a cinque suonare, a sei cantare, e poi vi è il corso di inglese, di judo, di karatè...
Per favore, diamoci una calmata!
Basta con i piccoli che soffrono di ingorgo psichico!
Acceleriamo il servizio postale ed i treni, non i bambini!
Il pedagogista si domanda: che cosa vi è dietro a tanta voglia di accelerare?
Ecco: alla base di tanta accelerazione stanno almeno due ragioni.
La prima: l'idea che l'infanzia sia un periodo inutile della vita e quindi un'età da scavalcare il più presto possibile.
Non c'è sbaglio più grave!
Essere (non diciamo 'restare'!) bambino non è tempo perso!
Anzi, proprio l'infanzia è il periodo più decisivo della vita.
Ormai questo è un principio accettato da tutti: il bambino è il padre dell'uomo!
"
Se hai piantato un cardo, non aspettarti che nasca un gelsomino", recita il proverbio.
La seconda: idea sbagliata che sta alla base della mania di accelerare il bambino è pensare che 'partire' prima significhi 'arrivare' prima.
Il che è tutto da dimostrare.
Anche nelle corse chi parte per primo non necessariamente arriva primo al traguardo.
Se il piccolo inizia a tre anni a suonare il pianoforte, non è per nulla scontato che sarà un grande pianista!
Dunque stracciamo quello che viene chiamato il 'complesso di Mozart'.
Mozart (1756-1791) era un bambino prodigio, che a cinque anni già componeva sinfonie.
Diamoci una calmata! Ritorniamo intelligenti: troppi corsi non servono!
Dunque smettiamo di scorazzare tutto il giorno di qua e di là per portare e per riprendere il figlio a scuola di danza, di nuoto, di calcio...
I
genitori taxi sono una sventura per i figli come i 'genitori-turbo' che hanno il 'complesso dell'acceleratore'.
Lo scrittore cecoslovacco Franz Kafka (1883-1924) ci ha regalato un'immagine bellissima: "
Lasciate dormire il futuro. Se lo svegliate, prima del tempo, otterrete un presente assonnato!".
Otterrete un bambino triste oggi e un adulto povero domani.
I fiori artificiali si fanno in un giorno, ma restano sempre senza profumo.
È lecito?
Oggi al bambino succede tutto troppo presto.
Troppo presto assistono a scene di violenza, troppo presto vedono scene erotiche.
"
Hanno tre anni o poco più, e davanti ai loro occhi è già passato di tutto. Nella loro mente si è depositato di tutto: le siringhe nei parchi, gli incidenti per la strada, le piaghe dell'AIDS sul viso di un ragazzo. Hanno visto la vita. Hanno visto la morte", chi si sfoga in questi termini è la psicologa Anna Maria Battistin.
Che ne dite?
È lecito sbattere tutto in faccia ai piccoli in modo così brutale?
È vero che oggi vi sono alcuni che pensano che non si deve nascondere nulla, né il proprio corpo, né la propria anima. Ma è un dato di fatto che i bambini si sentono feriti nella loro sensibilità, nei loro sentimenti.
Roberto Ossicini, docente universitario, nota che oggi abbiamo "
bambini fin troppo sviluppati sul piano intellettivo, relazionale e straordinariamente immaturi su quello affettivo... Bambini a forte rischio di manie ossessive, depressioni, malattie psicosomatiche che una volta non intaccavano l'infanzia".
Non la intaccavano perché il bambino poteva essere bambino, vivere da bambino.
Vien da non credere (eppure il fatto è reale): un piccolo di nove anni alla domanda della Maestra: "
Cosa farai da grande?", ha risposto: "Da grande mi riposo!". 

CITAZIONI D'AUTORE
• "Se amassimo davvero i nostri figli, non li costringeremmo a passare le giornate tra scuola, piscina, lezioni di piano o di violino, palestre, corsi di computer con il solo scopo di annichilirli" (Paolo Crepet, psichiatra). "Il periodo che va da zero a sei anni è fatto di settanta mesi in confronto dei settanta anni che generalmente costituiscono un'esistenza.
• Ebbene, un'ora di quei mesi vale quanto un giorno dell'altro periodo della vita. Durante quei settanta mesi scorre, praticamente, tutta l'acqua dell'esistenza" (Arnold Gesel, psicologo statunitense, 1880-1951).
• "Badate bene che i vostri figli stanno combattendo una battaglia quasi disperata... Non c'è niente o quasi niente che vada bene per un bambino nel mondo d'oggi" (Marcello Bernardi, pediatra, 1922-2001).


Autore: Pino Pellegrino

Fonte: Il Bollettino Salesiano aprile 2013

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mercoledì 12 novembre 2014

L'importanza delle favole per i bambini

LA FUNZIONE PEDAGOGICA DELLE FAVOLE NELLA FORMAZIONE DEI BAMBINI

Quando si tratta di motivare adeguatamente i figli, molti genitori incontrano serie difficoltà e spesso, invece di spronarli, tendono, inconsapevolmente, a scoraggiarli. Indispensabile presupposto per una corretta motivazione è che le richieste che provengono da genitori corrispondano alle concrete possibilità e capacità del bambino e vengano formulate in un linguaggio a lui comprensibile. E’ per questo che le favole si prestano in maniera eccellente a superare le barriere linguiste e mentali tra adulti e bambini. Le favole divengono un valido sussidio terapeutico. I bambini molto spesso si identificano con i personaggi delle storie e accettano con entusiasmo le idee e le strategie risolutive che le favole propongono ai loro problemi. Esse inducono, infatti, i bambini a rielaborare in maniera giocosa la situazione problematica e a lavorare attivamente sul proprio comportamento. Diversi studi dimostrano l’importanza delle favole per lo sviluppo psicologico ed emotivo del bambino. Le vicende che sono narrate attraverso la favola hanno un profondo valore formativo che consentono la familiarizzazione con alcune componenti oscure del nostro mondo interiore. Esse si occupano di problemi umani, in particolar modo quelli che preoccupano la mente del bambino. La favola ha il potere di sottendere, tramite una sequenza di rappresentazioni simboliche, un significato esistenziale non altrimenti accessibile al bambino. Infatti, gli spiega che la vita è un percorso ad ostacoli che bisogna affrontare con coraggio e intelligenza; che è inevitabile il rischio di incontrare figure ingannatrici e che potremmo non riconoscere le figure positive che ci vorranno aiutare. La favola è un utile strumento perché i personaggi aiutano i bambini a distinguere il “giusto” dallo “sbagliato”, cosa che non sarebbe possibile nella realtà, perché presenta molte sfaccettature. Affinché la favola possa svolgere la sua funzione deve coinvolgere contemporaneamente tutti gli aspetti della personalità del bambino e questo senza mai sminuire la gravità delle difficoltà che lo affliggono, ma, anzi, prenderne pienamente atto e, allo stesso tempo, promuovere la fiducia in se stesso e nel suo futuro. Attraverso la favola si dà al bambino la possibilità di sognare, scoprire un mondo e soprattutto la possibilità di costruire la propria personalità e dignità interiori.

Einstein diceva “se volete che i vostri figli siano intelligenti, leggete loro delle fiabe. Se volete che siano più intelligenti, leggete loro più fiabe”.

Autrice: Chiara Ursino
Fonte: www.giovannicertoma.it

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sabato 8 novembre 2014

I genitori non si scelgono (video)


È uno spot bellissimo, voluto e pensato per sensibilizzare l'opinione pubblica finlandese sul problema delle violenze e dell'abuso di alcol da parte di madri e padri, ma no può non far pensare anche ai problemi dell'adozione e della scelta questo video prodotto dall'associazione Fragile Childhood, cui patrono è il presidente della Repubblica finlandese, Sauli Niinistö.

Si intitola “Orphanage” (orfanotrofio) e presenta due bambini, sorella e fratello, che sembrano arrivare direttamente dalle pagine del mago di Oz; non hanno famiglia e vogliono scegliere mamma e papà ideali entrando in un futuribile “orfanatrofio di genitori”.
Girando tra vetrine trasparenti, vedono coppie perfette e simpatiche, collocate in contesti da fiaba, ed è chiaro che sono attirati. Poi la doccia fredda: un attimo prima di indicare la loro preferenza, la direttrice della struttura li obbliga a prendere atto della realtà: i genitori non li puoi scegliere. Quelli veri esistono. Sono violenti e alcolisti, e si trovano in una teca davanti alla quale i due ragazzini sbiancano.
Una pubblicità sociale da vedere, firmata dall’agenzia Havas Oy Helsinki, che può essere anche condivisa sui social network con l’hashtag #FragileChildhood #TheOrphanage.


Autrice: Gabriella Meroni
Fonte: www.vita.it

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venerdì 7 novembre 2014

L'arte di educare: Tifare

2- TIFARE
 
Sì, avete letto benissimo: la seconda mossa strategica dell'arte di educare è "tifare".
Tifare per il figlio.
Ogni bambino nasce ricco. Arriva sulla Terra con quei preziosi trecento grammi di cervello che gli danno possibilità pressoché infinite.
Sì, se utilizzassimo a pieno il nostro cervello, salterebbero tutte le scale per misurare l'intelligenza, tutti i test mentali.
Il cervello ha la capacità di immagazzinare dieci fatti nuovi al minuto secondo, può accogliere una quantità di informazioni pari a centomila miliardi!
Questo per il solo cervello.
E che dire della capacità di fantasticare, di immaginare, di creare, che risiede nella mente di un bambino? Più ancora, che dire della ricchezza del cuore che saprà amare? E della bocca che arriverà a parlare, a pregare?
Ecco il bambino: un orizzonte di possibilità incalcolabili!
Abbiamo, dunque, tutte le ragioni per essere tifosi del nostro figlio.
Chi tifa per una squadra, desidera che vinca, ma non può entrare in campo: deve lasciare ai giocatori il compito di condurre la partita.
Così nell'educazione: deve essere lui, il figlio, a costruirsi la vita; non possiamo sostituirlo, non possiamo prendergli il posto.
Però possiamo stimolarlo, possiamo incoraggiarlo. Possiamo tifare!
Tifiamo perché il tifo passa entusiasmo. E chi ha entusiasmo ha grinta da vendere.
Tifiamo perché la correzione può fare molto, ma l'incoraggiamento fa di più.
Tifiamo perché il tifo gli rivela energie nascoste. E questo è un dono straordinario. Lo sosteneva giustamente il filosofo francese Louis Lavelle (1883-1951): "
Il maggior bene che possiamo fare agli altri non è comunicare loro la nostra ricchezza, bensì rivelargli la loro".
A proposito di ciò che stiamo dicendo, i cinesi hanno uno stupendo proverbio: "
Credendo nei fiori, si fanno sbocciare".
Gli psicologi, invece, parlano di '
effetto Pigmalione'.
Secondo la leggenda, Pigmalione era un mitico re di Cipro che aveva il dono della scultura. Un giorno scolpì, in bianchissimo avorio, una figura di donna talmente bella che desiderò diventasse sua moglie.
Pregò allora gli dèi di trasformarla in donna. Gli dèi lo esaudirono e Pigmalione sposò la statua trasformata in bellissima carne.
Ecco: il desiderio, l'occhio buono, l'aspettativa, riescono a dar vita anche all'avorio, anche alle pietre.
È provato che gli insegnanti che credono nei loro ragazzi, che attendono tanto da essi, hanno, come risposta, prestazioni superiori a quelle date ad insegnanti pessimisti, freddi, poco fiduciosi.
È la triste prova del fatto che chi stima corto l'ingegno di una persona glielo accorcia ancor più ma è anche l'attesa conferma del proverbio cinese: "
Credendo nei fiori, si fanno sbocciare".

L'AUTOSTIMA
L'autostima è una molla fondamentale per la crescita del figlio.
Hanno tutte le ragioni gli psicologi a sostenere che per vivere bene, ogni persona deve riuscire a dire di se stessa: "Io sono ok!".
I genitori patentati lo sanno bene.
• Quindi non usano mai (assolutamente mai!) parole invalidanti ('stupido', 'cretino', 'imbranato'...), ma solo parole incoraggianti: 'bravo', 'siamo orgogliosi di te', 'sei forte'... Il figlio sente (quanto sente!) l'apprezzamento dei genitori! Insomma, buttiamo nel cestino della carta straccia tutte le parole che rigano l'anima!
• Quindi i genitori patentati accettano il loro figlio pienamente.
Un giorno il figlio del famoso pilota canadese Gilles Villeneuve sbuffò con i giornalisti: "Tutti pretendono da me prestazioni straordinarie come quelle di mio padre. Per favore, lasciatemi essere semplicemente Jacques Villeneuve".
Questa è saggezza!
Il pazzo dice: "Io sono Napoleone!".
Il nevrotico dice: "Io voglio essere Napoleone!".
Il saggio dice: "Io sono io e tu sei tu!".
• Quindi i genitori che non vogliono ferire l'autostima del figlio, dosano le loro aspettative nei suoi confronti.
Aspettative esagerate, infatti, possono produrre una stima eccessiva nel figlio, stima che sovente viene frustrata dall'insuccesso per aver puntato troppo in alto.
Di qui la delusione e la depressione. In questi casi l'autostima subisce un colpo mortale.


QUESTO DICIAMO AL FIGLIO
Perle di autostima
• Se fai ombra, è segno che ci sei!
• Non rovinarti la vita per il giro vita!
• Ama la tua pelle, è la sola che hai!
• Non dare troppo peso al peso!
• Non dare agli altri il potere di renderti infelice con i loro sorrisi da presa in giro.
• Si può essere notevoli, senza essere notati.
• Non sempre si può essere belli, sempre si può essere buoni.
• Se ti accorgi di non poter crescere in statura, cresci in simpatia!

Autore: Pino Pellegrino

Fonte: Il Bollettino Salesiano marzo 2013
 
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giovedì 6 novembre 2014

L'arte di educare: Seminare

1- SEMINARE
Seminare è la mossa-base dell'arte di educare

Educare, infatti, è un arte che richiede pazienza: oggi si getta un seme...domani si raccoglierà.
Hanno trovato in Egitto chicchi di grano risalenti ai tempi dei faraoni; qualcuno li ha seminati: dopo pochi mesi ondeggiavano spighe ripiene di ottimo frumento!
Potenza del seme!
Per questo l'educatore crede nel seme.
Poco, tanto..., non importa: lui semina.
Semina fin dai primi giorni della vita del figlio.
Semina l'amore perché senza amore non si vive.
Semina il coraggio perché la vita è sempre in salita.
Semina la speranza perché la speranza è la spinta per continuare.
Semina l'ottimismo perché l'ottimismo è il motorino d'avviamento di tutto.
Semina un buon ricordo perché un buon ricordo può diventare la maniglia a cui aggrapparsi nei momenti di sbandamento.
Semina Dio perché Dio è il basamento di ogni cosa.
L'educatore semina!
Semina perché il seme è molto più di una speranza: è una garanzia. Lo diceva bene il poeta libanese
Kahil Gibran (1883-1931): "La tempesta è capace di disperdere i fiori, ma non è in grado di sradicare i semi".
Al poeta libanese fa eco il grande scrittore russo
Feodor Dostoevskij (1821-81): "Occorre solo un piccolo seme, un minuscolo seme che gettiamo nell'animo di un uomo semplice ed esso non morirà, ma vivrà nella sua anima per tutta la vita, resterà nascosto in lui tra le tenebre, tra il lezzo dei suoi peccati, come un punto luminoso, come un sublime ammonimento".
D'accordo al cento per cento!
Insomma il bravo genitore è un buon seminatore! Seminare è il suo primo dovere.
San Bonaventura (1217-1274) diceva: "Il merito non sta nel raccogliere molto, ma nel seminare bene" (Grazie per l'incoraggiamento!).
Seminare è la sua prima responsabilità.
Il proverbio recita: "Chi semina chiodi, non vada in giro scalzo!".
I cinesi hanno questa bella immagine: il bambino è come un foglio bianco, tutti quelli che gli passano vicino gli lasciano un segno, gli gettano un seme.


PREZIOSA È LA SERA
Il momento più propizio per seminare è la sera!
Di sera è più facile avere pensieri miti, pensieri di pace. La sera è benigna, è tenera, è discreta.
Per questo è l'occasione magica dell'incontro e dell'intimità.
Di sera sentono anche i sordi, perché di sera si parla con il cuore.
Non sprechiamo la sera!
Lo scrittore tedesco
Johann P. Richter (1763-1825) era convinto che "le parole che un padre dice ai figli, di sera, nell'intimità della casa, nessun estraneo le sente al momento, ma alla fine la loro eco raggiungerà i posteri".
BOUTIQUE PEDAGOGICA
• "I bambini d'oggi sembra sappiano tante cose, e le sanno, ma sotto il bambino tecnologico c'è quello eterno che non può vivere senza l'affetto e l'amore di qualcuno" (
Mario Lodi, maestro scrittore).
• "Il bambino non è un animaletto da addomesticare. Insegnargli a fare riverenze, smorfie, salutini, è ridicolo ed inutile. Non manchiamogli di rispetto. Anche se piccolissimo ha la sua dignità" (
Marcello Bernardi, pediatra).
• "Nei grandi allevamenti dell'Ovest americano non è permesso, nelle fattorie, adoperare nessuna espressione volgare. Se una 'pedagogia animale' ha simili esigenze nelle regioni selvagge del Far West, può la 'pedagogia umana' rimanere indietro?" (
F.W. Foerster, pedagogista).
• "Alla larga dalla saggezza che non piange, dalla filosofia che non ride, dalla grandezza che non si inchina davanti ai bambini!" (
Kahil Gibran, poeta libanese).

Autore: Pino Pellegrino

Fonte: Il Bollettino Salesiano febbraio 2013


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dalla parte dei bambini, SEMPRE

mercoledì 5 novembre 2014

L'arte dell'educare

LE 13 STRATEGIE PER ESSERE GENITORI QUASI PERFETTI
Educare è arte da imparare. L'istinto non basta: è meglio documentarsi.
Ha ragione l'ideatore del 'Telefono azzurro'
Ernesto Caffo a sostenere che "un adulto non diventa genitore automaticamente: è un processo mentale che richiede tempo".
Sì, come non basta avere un piano per essere un buon pianista, così non basta aver figli per essere buoni genitori.
Marcello Bernardi (1922-2001), il nostro più famoso pediatra del secolo scorso, ci manda a dire che "diventare genitori non è obbligatorio. Ma quando uno lo diventa deve darsi una bella regolata e stare attento a quello che fa!".
Insomma, fare il genitore non è un lavoro per gente pigra!
L'educatore e attore statunitense
Bill Cosby (1937) era convinto che "essere genitori è, a volte, più stressante che essere presidente degli Stati Uniti".
Senza arrivare a tanto, una cosa è certissima: il genitore patentato deve saper compiere alcune mosse che sono come i plinti dell'educazione. Dunque, a partire da questo post, presenteremo quelle che ci sembrano le più fondamentali strategie dell'arte di educare.
Perché il lettore non smarrisca il filo conduttore, ecco quello che sarà l'ordine di comparsa:
1: Seminare. 2: Tifare. 3: Aspettare. 4: Amare. 5: Parlare. 6: Risplendere. 7: Comandare. 8: Rallegrare. 9: Far faticare. 10: Sbagliare. 11: Pregare. 12: Tagliare il cordone ombelicale. 13: Lasciare un buon ricordo.
Autore: Pino Pellegrino
Fonte: Il Bollettino Salesiano febbraio 2013
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